Guariento Mario | Festa dell’Ascensione. Marco 16,15-20
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Festa dell’Ascensione. Marco 16,15-20

10 Mag Festa dell’Ascensione. Marco 16,15-20

«Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura».
Senza dubbio, queste parole venivano ascoltate con entusiasmo quando i cristiani erano in piena espansione e le loro comunità si moltiplicavano per tutto l’Impero romano; ma come ascoltarle oggi, che non ci sentiamo più bisognosi della fede?
Dio continua a operare con amore infinito nel cuore e nella coscienza di tutti i suoi figli e le sue figlie. Dio non è fermato da nessuna crisi.  Dio non aspetta che noi, nella Chiesa, attuiamo i nostri piani di ristrutturazione o i nostri progetti di innovazione. Lui continua ad agire nella Chiesa e fuori della Chiesa. «Andate in tutto il mondo e proclamate la Buona Notizia».
Una buona notizia è qualcosa che porta alla gente una speranza nuova, apporta luce, fa nascere la gioia, da un senso nuovo a tutto, incoraggia a vivere in modo più aperto e fraterno. Possiamo insegnare dottrine sublimi su Gesù: in lui si trova la «salvezza» dell’umanità, la «redenzione» del mondo, la «liberazione» definitiva dalla nostra schiavitù, la «divinizzazione» dell’essere umano. È certamente tutto questo, ma non basta. Non basta esporre verità il cui contenuto è teoricamente buono, occorre sperimentare Gesù come qualcosa di «nuovo» e di buono nella propria vita. Quello che Gesù dice ci fa bene: toglie la paura di Dio, fa sentire la sua misericordia, ci aiuta a vivere compresi e perdonati da lui. Il suo modo di essere è buono per tutti: è compassionevole e vicino, accoglie i più dimenticati, abbraccia i più piccoli, benedice i malati, fa attenzione agli ultimi. Tutto il suo comportamento introduce nella vita delle persone qualcosa di buono: speranza, perdono, verità, forza interiore, fiducia. Oggi c’è tanta fame e violenza nel mondo, ma c’è anche una maggiore consapevolezza di dover rendere questo mondo più umano. Ci sono molti che, pur non credendo in nessuna religione, credono in una vita più giusta e degna per tutti, il che è, in definitiva, il grande desiderio di Dio. Questa fiducia può dare un tono differente al nostro modo di guardare al mondo e al futuro della Chiesa. Ci può aiutare a vivere con pazienza e pace, senza cadere nel fatalismo e senza disperare del vangelo. Dobbiamo risanare le nostre vite eliminando quello che ci svuota di speranza. Quando ci lasciamo dominare dalla disillusione, dal pessimismo o dalla rassegnazione, diventiamo incapaci di trasformare la vita e di rinnovare la Chiesa. Il filosofo statunitense Marcuse diceva che «la speranza la meritano solo quelli che camminano». Io direi che la speranza cristiana la conoscono solo quelli che camminano seguendo i passi di Gesù. Sono loro che Possono «proclamare il vangelo a ogni creatura». Il vangelo è l’agire di Dio, un agire invisibile che mostra la sua verità e la sua figura mediante i segni che produce.
Un senso di impotenza e delusione sembra attraversare l’anima delle società occidentali. Le nuove generazioni stanno imparando a vivere senza futuro, ad agire senza progetti, ad organizzare solo il presente.
L’essere umano non può vivere senza speranza. Come dice Clemente d’Alessandria, «siamo viaggiatori» che continuano a cercare qualcosa che non possediamo ancora. La nostra vita è sempre «attesa», e quando si spegne in noi la speranza, ci fermiamo, non cresciamo più, ci impoveriamo, ci distruggiamo. Senza speranza smettiamo di essere uomini.


Solo chi ha fede in un futuro migliore può vivere intensamente il presente. Solo chi conosce la meta cammina con fermezza nonostante gli ostacoli. Forse, per una società come la nostra, è questo il messaggio più importante del racconto dell’Ascensione.
Per chi non si aspetta nulla alla fine, i risultati, le gioie, i successi della vita sono tristi, perché finiscono. Per chi crede che questa vita è segretamente aperta alla vita definitiva, i risultati, i travagli, le sofferenze e le gioie sono anelito e annuncio, ricerca della felicità finale. Il cielo non si può descrivere, ma possiamo pregustarlo. Non vi possiamo arrivare con la nostra mente, ma è difficile non desiderarlo. Se parliamo del cielo non è per soddisfare la nostra curiosità, ma per ravvivare il nostro desiderio e la nostra attrazione per Dio. Se lo ricordiamo è per non dimenticare l’anelito ultimo che portiamo nel cuore. Andare in cielo non significa recarsi in un posto, ma entrare per sempre nel Mistero dell’amore di Dio. Alla fine, Dio non sarà qualcuno nascosto e inaccessibile. Anche se ci appare incredibile, potremo conoscere, gustare e godere del suo essere intimo, della sua verità più profonda, della sua bontà e bellezza infinite.                                                                  

Dio ci conquisterà per sempre. Il teologo ungherese Ladislaus Boros cerca di suggerire questa esperienza indescrivibile: «Sentiremo il calore, sperimenteremo lo splendore, la vitalità, la ricchezza straripante della persona che oggi amiamo, della quale godiamo e per la quale ringraziamo Dio. Tutto il suo essere, la profondità della sua anima, la grandezza del suo cuore, la creatività, l’ampiezza, l’eccitamento della sua reazione amorosa, ci saranno donati».