Guariento Mario | Seconda domenica dopo Pasqua. Giovanni 20, 19-31
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Seconda domenica dopo Pasqua. Giovanni 20, 19-31

04 Apr Seconda domenica dopo Pasqua. Giovanni 20, 19-31

“La sera di quello stesso giorno mentre erano chiuse le porte dove si trovavano i discepoli” in preda alla paura, con una fede popolata da dubbi e senza forza, venne Gesù. Credere non è avere certezze, ma saper portare i dubbi che popolano il cuore e la ragione. “Venne … stette in mezzo e disse loro: Pace…” Il Signore esce dal suo sepolcro e si ferma in mezzo a loro. Come sul Calvario era stato «nel mezzo» dei ladroni, richiamando l’albero della vita che stava «nel mezzo» del giardino dell’ Eden, anche in questa notte di salvezza, Gesù sta in mezzo a loro. Egli è la Dimora cui converge l’esistenza stessa dei discepoli, della chiesa. La prima parola che il Risorto, Albero vivente di Dio, pronuncia è la parola Pace. Il primo frutto della Pasqua è dunque la Pace che diventa così sinonimo del Risorto: «Egli è la nostra Pace». Su questo frutto si gioca la credibilità dei cristiani perché la pace biblica e messianica è la somma di tutti i beni del regno di Dio. Quanto cammino ancora se molti cristiani credono che la pace si possa imporre con le armi, quante pasque devono ancora passare? «Pace a voi!» Alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”. Giovanni usa un verbo in greco che è lo stesso che il Genesi usa per creare l’uomo; Dio aveva alitato il suo soffio vitale sulla polvere del suolo, dando così consistenza alla fragilità per eccellenza. Il Risorto invece alita il suo Spirito sui discepoli come antidoto alla solitudine e alla paura. Già dalla croce, un attimo prima di morire, aveva «consegnato lo stesso Spirito al discepolo e alla Madre, simboli della nuova umanità; alle quattro donne ebree; ai quattro soldati pagani che erano sotto la croce, rappresentanti del mondo credente e non credente.                                                                                                   

“Dissero allora gli altri discepoli a Tommaso che non era con loro”: «Abbiamo visto il Signore!» e Tommaso risponde: «Non credo». E’ una tentazione facile quella di concepire la propria vita di fede come un rapporto personale, diretto ed esclusivo con Dio senza implicazioni fraterne, quasi che il Signore non prenda la via del fratello o della sorella per raggiungerci, quasi che il Signore non medi sempre il suo contatto con noi tramite gli altri, tramite la Comunità. E’ la tentazione di una fede senza mediazioni, un credere senza appartenere. Ma c’è anche qualcosa che ci tocca più da vicino. E questo concerne il fatto che si può anche partecipare ai riti della comunità, ma tutto si limita a quello. Andiamo bene in chiesa perché lì abbiamo la possibilità di uno scambio quasi diretto con il Signore, andiamo male fuori chiesa quando si tratta di mediare la parola del Signore con gli avvenimenti, con i fratelli e le sorelle, con il quotidiano. Dà fastidio dover condividere la propria fede con qualcuno. Dà fastidio accettare di confrontarci su quanto crediamo perché, finché non ci si confronta, ciascuno pensa che quanto crede e vive sia la vera fede, sia il modo unico e migliore per relazionarsi al Signore. Può dar fastidio, dunque, ma bisogna pur dire, che tutte le realtà di fede sono realtà mediate. Il dono e l’annuncio della fede mi giungono attraverso dei fratelli e delle sorelle. C’è sempre nella nostra vita una Maria di Magdala che corre ad annunciarci: «Il Signore è risorto!»; c’è sempre nella nostra vita un gruppo di Dodici per dire: «Abbiamo visto il Signore!». E’ la comunità matura: per lo Spirito di vita nuova che riceve e la costituisce, per la fede vissuta e sperimentata nel Cristo Risorto, per la capacità di perdonare. Sono le connotazioni di una comunità di fede.  E finché Gesù sta nel mezzo, con i suoi segni e le sue parole, e la Comunità pone in Lui la sua fiducia, essa vive e cresce, e riesce ad assicurare nel tempo la pace, la gioia, il perdono, cioè lo Spirito di Dio.                                                                                                

Un Grazie particolare a Tommaso perché ha insegnato alla comunità, come si fa ad indurre Dio a presenze suppletive per l’uomo alla ricerca di autenticità e di fede, ad intenerire il cuore del Figlio che ha riaperto dolorose ferite, per riconfermare il dono della pace e dello Spirito, in nome del quale ricomincia la nuova Storia. Grazie per aver per primo sperimentato e testimoniato la fede nel Risorto in mezzo alla Comunità, luogo naturale di ogni gesto di fede e di amore. Grazie al Risorto che supera muri e barriere, per rivedere volti cari, risentire voci amiche, per riguardare occhi gonfi di ricerche, cuori orfani di amore sincero. E si svela, senza pudori divini: metti qui, guarda, tendi… Ma tutto si dissolve in confessioni umane e profezie divine invocando Signore mio, amico mio anche se incredulo… Alla fine riemerge l’amore, anche per noi, beati per dono divino.  Da qui riparte un nuovo corso, una storia rinnovata di chi crede nella Vita, e nonostante tutto, continua a sperare, e si affianca a Dio per scrivere nel libro annunci e segni comuni di Risurrezione.