23 Feb Seconda di Quaresima. Vangelo di Marco 9,2-10
E dopo sei giorni Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce sopra un alto monte.
E’ evidente il richiamo al settimo giorno della creazione. Sono i sei giorni della creazione della vita che sbocciano nel settimo giorno, il giorno del riposo di Dio, il giorno settimo della contemplazione gioiosa della forza e della bellezza armoniosa della vita di Dio. In verità questi numeri non sono la contabilità del tempo della creazione e nemmeno del tempo in sé, ma sono il simbolo stesso della vita voluta da Dio e donata alle sue creature. In sé il tempo non esiste, è una convenzione dell’uomo. Esiste l’atto creativo di Dio, la vita in cui siamo immersi e di cui facciamo parte. Dopo il tradimento dell’uomo la creazione ci ha come seguiti nell’abisso e si è in qualche modo anche lei disunita e disgregata. In Gesù, il settimo giorno diventa il giorno della risurrezione dalla morte, diventa il giorno della vita che vince il tempo della non-vita e della non-verità. In questo caso, nel linguaggio dell’evangelista Giovanni, dopo il sesto giorno significa il giorno della nuova creazione, è come dire che il tempo che viviamo nella storia è già e comunque il tempo in cui Gesù ha vinto il male e la morte.
E si trasfigurò davanti a loro. E le sue vesti divennero splendenti.
Gesù per un istante appare agli occhi dei tre discepoli nella dimensione di luce che gli appartiene, naturalmente non in tutto il suo splendore, ma solo nella misura in cui la mente umana può sopportare. Gesù mostra attraverso una piccola fessura chi è veramente, e mostra anche chi siamo veramente noi, immagine e somiglianza della sua luce divina. Dice Meister Echkart: “quando l’anima non si disperde nell’esteriorità, giunge a se stessa e risiede nella sua luce, semplice e pura”.
Un giorno Gesù disse: Voi siete la luce del mondo, e noi l’abbiamo preso come un compito spirituale, un impegno morale, un mandato missionario. Ma semplicemente Gesù voleva dire quello che siamo: luce. Tutto è luce, tutto ciò che esiste è luce e viene dalla stessa luce. Il grande mistico Silesius afferma: “Sono una luce eterna, che brucia ininterrottamente. Olio e stoppino è Dio. Il mio spirito il vaso.” E Somene Weil: “l’attaccamento all’io è la vera malattia dell’anima, per cui essere orgogliosi significa spegnere la luce che siamo noi”.
Ciascuno rappresenta questa luce con frequenze diverse, per questo siamo diversi, ma tutti fatti della stessa luce. Ancora Meister Echkart afferma: “Dio e io siamo una sola cosa: luce nella luce.”
E tra tutto il creato Dio ha voluto abitare nell’uomo, dentro di noi. Essere luce, non è un compito, prima di tutto è la nostra natura, quella dei figli di Dio. Anche del nostro nemico.
Il compito della vita è diventare consapevoli di questo. Allora c’è pace – facciamo tre tende – e si sta bene. La divinità di Gesù dice la dimensione del vivere nella luce dello Spirito. E’ questa la realtà dell’uomo interiore che vive nel mondo e nello spazio dello Spirito.
Gesù vuol ristabilire ogni « cosa, nel senso che riporta l’ordine vero delle cose verso la luce della verità, in un mondo che prende il male per bene e il bene per male.
Ci sono le difficoltà, le paure, la croce fanno parte della luce della vita, ma possiamo farcela a superare ogni cosa con grande forza, se solo cominciamo a comprendere che siamo luce di Dio. Certo, siamo molto opachi, ingrigiti dai pensieri terreni, dai peccati, dalle cose materiali, dalle preoccupazioni profonde o superficiali, ma siamo luce.
Gesù trasfigurandosi sul monte non ha fatto un miracolo, ma ha mostrato quello che Dio ha posto in noi. Tutti noi siamo incamminati sul sentiero di questo monte. Gesù è luce e noi siamo e viviamo, respiriamo, in tutto cerchiamo, questa amabile eterna e dolcissima luce.
Gesù ci ha mostrato una fessura la certezza della luce che siamo e che saremo in Dio, questa certezza ci aiuterà a portare con coraggio dietro a Gesù la croce quotidiana, ci aiuterà a non perdere il sorriso.