Guariento Mario | VENERDI’ 24.04.2020
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VENERDI’ 24.04.2020

03 Mag VENERDI’ 24.04.2020

Giovanni 6, 1-15

Il capitolo 6 è una delle pagine più sublimi di tutto il quarto Evangelo, e direi quasi di tutto il Nuovo Testamento: inizia con un grande segno, la moltiplicazione dei pani, e termina con la spaccatura della discepolanza tra lo “scandalo” di alcuni e la professione di fede di altri. 
Sembra che l’annuncio di Giovanni trovi nel pane la sua vibrazione più alta e anche il segno riassuntivo più completo e più profondo del mistero di Gesù: è in lui che si manifesta l’amore di Dio che pensa all’uomo.

Nel pane per gli ascoltatori di Cafarnao si gioca l’alternativa tra fede e incredulità.

Leggendo bene il racconto emergono delle particolarità che ci permettono di cogliere il senso specifico del racconto giovanneo.
Gesù lascia la Galilea e va a piedi verso il deserto, in testa a una gran folla che lo segue; quindi non si tratta di folla che cerca Gesù, ma di Gesù che cerca di far fare un’esperienza di pane nel deserto alla sua folla. E chiara la allusione a Mosè che guida il popolo nel deserto in una esperienza di pane dato da Dio.
Inoltre in Giovanni non sono gli apostoli preoccupati del pane, ma è Gesù stesso, che, vista la folla  si pone direttamente la questione. Quindi il gesto che farà non è tanto il risultato di una compassione, ma l’inizio di un progetto ben chiaro perchè «Egli sapeva cosa stava per fare».
E la domanda che Gesù pone a Filippo suona proprio come un sfida.
Anche Gesù provvede al suo popolo; e la figura del deserto, come immagine descrittiva della realtà dell’uomo immersa nella necessità radicale, fa da congiunzione tra l’antico e il nuovo, tra Mosè e Cristo per dare continuità e progressione all’unico tema. 
Ma il significato di questo pane sarà esplicitato e aggiornato da Cristo stesso nel discorso di Cafarnao. Nel nuovo pane Gesù desidera che il popolo vada al di là del segno e si radichi con fiducia nella sua persona: è lui che si propone come alimento dell’uomo e come soluzione al problema del suo radicale stato di necessità. 
Il “pane” nella storia dell’uomo è il simbolo della lotta per la sopravvivenza e allo stesso tempo è il segno più arcaico attorno al quale si aggrega la famiglia umana. L’esigenza del pane si innesta alla radice profonda e primordiale del desiderio di sopravvivenza: il desiderio di vincere la titanica lotta contro la forza distruttrice del tempo. 
Questo suo significato si  estende a tutte le dimensioni della persona umana: pane e sussistenza materiale — desiderio e sopravvivenza psicologica — fame dell’Assoluto e alimento spirituale: pane e istinto di vita somatica, psichica e spirituale, si sovrappongono.
L’uomo esprime nel pane la difficoltà quotidiana della vita, il mistero dei suoi nascosti e arcani dinamismi, e lo sforzo continuo di affrontarli per superarli: vincere l’oggi per il domani si chiama pane. 
Ma che cosa è il pane nella storia del popolo di fede, cioè nella storia in cui si professa una relazione stretta tra Dio e l’uomo? Il pane in questa storia è il segno di una presenza amorosa, paterna, sollecita ed attenta, di una presenza misteriosa che ha a cuore il bisogno impellente dell’uomo. Allora si può dire che il pane è simbolo di tutto ciò che l’uomo desidera per la vita e di tutto ciò che Dio comunica per la vita dell’uomo. La storia del pane diventa la storia della promozione dell’uomo, sotto la spinta promovente di Dio. E quando si perde il senso del pane, si perde il senso del vivere.

Signore, davanti a te e in te, nel tuo amore stiamo noi, io, la mia vita, il mio tempo, le mie vicende, le mie ore grandi e meschine, quello che io volevo essere con la mia libertà. Tu, stringendo un’alleanza d’amore con me hai portato tutto in fondo al tuo cuore e hai reso la mia vita partecipe del tuo destino; hai già detto sì alla mia storia e la tua vita è improntata dal suo rapporto con me e io sono  diventato in te eternità.