06 Mag LUNEDI’ 04.05.2020
Giovanni 6, 11-18
Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita, e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà. Io ho il potere di offrirla e di riaverla: questo è il comando che il Padre mi ha dato.
Gesù va alla morte in piena consapevolezza, “depone” la sua vita di sua volontà per poi riprenderla liberamente. Il versetto ha quindi una grande valenza teologica: il Cristo, buon Pastore, deponendo liberamente la sua vita in favore delle pecore manifesta così l’amore del Padre per il suo popolo e la dedizione del Figlio ai voleri del Padre.
E’ il punto culminante del discorso e sembra fare da conclusione: se il Padre ama il Figlio, è per via della grande opera che questi compie come pastore delle pecore, deponendo la sua vita per esse e riunendole in un unico gregge; ma Giovanni qui aggiunge una nuova ragione:
se il Padre ama il Figlio, è perché questi depone la sua vita «per poi riprenderla», portando così a termine tutta l’opera di salvezza.
La vicenda del Pastore è la grande rivelazione dell’amore del Padre. Ma Giovanni vuole sottolineare anche la piena libertà del Figlio: «lo la depongo da me».
Il Figlio possiede il sommo potere e può disporre liberamente di sé; l’amore del Padre e la libertà del Figlio si sono incontrati su un unico intento e un unico fronte, quello della salvezza degli uomini.
Gesù offre la sua vita in perfetta libertà. In Cristo quel che in rapporto agli uomini è libertà, è obbedienza in rapporto ai Padre. Da questo comprendiamo come la libertà è obbedienza e l’obbedienza è amore.
Per favorire il formarsi del cammino spirituale nella persona è necessario coltivare il terreno personale da cui sgorga la risposta religiosa, in cui l’atto di fede prende forma: la LIBERTA’.
Nel fondo del cuore di ogni persona, nel vero sè, c’è una perla preziosa che porta il nome della persona, una perla configurata secondo il disegno originario di vita. Questa perla vorrebbe poter brillare di luce, l’amore ricevuto e poi da dare, e illuminare la strada della persona e di chi le sta accanto. Ma lo può fare solo se viene raggiunta da un raggio di sole costituito dalla libertà. Spesso ci sono cumuli di detriti che occorre attraversare per raggiungere quella perla, porte costituite da altrettanti muri di difesa, messi su a ragione o a torto, a volte inutili e dannosi. Quella perla porta un nome, il nome proprio della persona, da decifrare, da assumere, da realizzare e da portare a fronte alta secondo la propria missione nella vita.
È importante e decisivo rimanere in contatto con se stessi, con l’accettazione incondizionata di sé, come la vive il Padre in noi. Allora posso rischiare. Se lui si è esposto, anch’io posso espormi. Entro la persona si forma una catena di libertà esperienziale. Si apre una sorgente di vita, di gioia di vivere se stessi in verità e amore, pure in mezzo alle immancabili fatiche. Occorre comunicare con se stessi per poter comunicare veramente con gli altri e con Dio, comunicare con tutto di sé senza zone proibite. Allora crescono la libertà interiore e la vita.
La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione, una libertà che nella risposta positiva si qualifica come adesione personale profonda, come donazione d’amore o, meglio, come ridonazione al donatore che è Dio che chiama, come oblazione.
Di fronte a questa situazione, è bene ricordare che la libertà non è un optional, ma una vocazione. A questa vocazione, non ci si può sottrarre, ne va della riuscita, dell’armonia della nostra vita umana. Essa è vocazione che scaturisce dalla consapevolezza di essere persone. Come ogni dono vitale, deve essere accolta e interiorizzata perché è costante il pericolo di ricadere nella schiavitù.