04 Mag SABATO 25.04.2020
Marco 16, 15-20
In tutto il suo vangelo l’evangelista Marco non ha fatto altro che farci comprendere chi è Gesù. Questo uomo osannato e perseguitato. Un uomo che si dissociava dalla religiosità del Tempio e della legge e che imponeva il silenzio ai suoi discepoli perché sapeva che avrebbero annunciato uno che non conoscevano.
Sarà un centurione a svelare l’identità di Gesù proprio nel momento in cui nulla poteva farlo credere, era morto da bestemmiatore inchiodato sulla croce.
Veramente quest’uomo era figlio di Dio! 16,15.
Quell’uomo appeso alla croce era il Risorto!
E’ questo Crocifisso che Marco ci ha invitato a seguire: Se qualcuno vuole venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua. Chi perderà la sua vita a causa mia e del vangelo la salverà.
Il vangelo termina con le donne che vanno al sepolcro e ricevono un mandato:
Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea.
E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura!
Il vangelo non poteva chiudersi con un silenzio ma doveva essere annunciato a tutti. Non possiamo credere e tacere.
Ecco allora l’aggiunta dei versetti 16-20 che leggiamo oggi.
La Parola ci consegna un impegno, un mandato: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura , e una certezza, una verità che dà forza al nostro annuncio:“ Il Signore operava insieme con loro e confermava la parola.”
L’ annuncio della fede si decide sulla capacità di mostrare che il vangelo è una promessa di vita buona per le esperienze di vita della gente, sulla qualità educativa della fede. il vangelo non va a segno se non trasforma qualitativamente la vita delle persone, delle convivenze civili, delle culture. Possiamo codificare in cinque ambiti i «luoghi antropologici» nei quali la comunità cristiana è chiamata a far risuonare la parola di Dio all’uomo: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e la cittadinanza. Sono queste «situazioni in cui può nascere una domanda di fede». C’è un contributo educativo che l’annuncio ha sempre custodito: l’educazione all’interiorità. L’educazione interiore aiuta a sviluppare la consapevolezza del pensiero e dei sentimenti, a imparare a leggere la propria vita, a stare di fronte a sé in modo meditativo, non incollati sull’esteriorità e sull’esibizionismo, non ridotti alla superficialità e all’egotismo. Iniziare alla vita interiore è educare al silenzio, alla consapevolezza di sé, alla riflessione. Aiuta a divenire più pensosi, più autocritici, più consapevoli dei propri errori, meno egoisticamente autocentrati, più disposti a stare in solitudine senza soffrirne. L’interiorità si afferma e si accresce se può contare su alleati come il silenzio, il piacere della solitudine, la gioia di trovare delle modalità espressive e comunicative per entrare in dialogo con gli altri. L’educazione alla consapevolezza interiore di sé è bene durevole; è preparazione ad affrontare le prove più dure che tutti e tutte dobbiamo attraversare. E’ senza volto una vita senza racconti, dei racconti senza riti, dei riti senza compiti, dei compiti senza regole, delle regole senza interiorità. Che vita umana sarebbe questa? Una vita senza speranza. Eppure sappiamo che questa epoca delle «passioni tristi» e della riduzione scientifica e tecnica della vita rischia di lasciare l’uomo incollato all’immediato, senza connessioni con il passato e senza speranze per il futuro. Senza compiti. Smemorato, sfiduciato e sregolato.
Ecco allora oggi risuonare anche per noi, per me l’invito della Parola di Marco:
“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Il Signore operava insieme con loro e confermava la parola.”
Molto importante: Il Signore operava insieme con loro!