14 Mag MERCOLEDI’ 13.05.2020
Giovanni 15, 1-8
L’immagine è veramente eloquente: “ Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”. La vita dei discepoli è sterile «se non rimangono» in Gesù. Le sue parole sono categoriche: «Senza di me non potete far nulla». Non ci sta forse svelando la vera radice della crisi del nostro cristianesimo, il fattore interno che più di tutti lo distrugge alle fondamenta?
La forma in cui molti cristiani vivono la loro religione, senza un’unione vitale con Gesù Cristo, non sopravvivrà a lungo: si ridurrà a folclore anacronistico che non porterà a nessuno la Buona Notizia del vangelo. Diceva K. Rhaner: se il cristiano non è un misto, non dirà più nulla al mondo”. La Chiesa non potrà portare a compimento la sua missione nel mondo contemporaneo se noi che ci diciamo «cristiani» non diventiamo discepoli di Gesù, animati dal suo spirito e dalla sua passione per un mondo più umano.
Per essere cristiani oggi c’è bisogno di un’esperienza vitale di Gesù Cristo, di una conoscenza intima della sua persona e di una passione per il suo progetto che prima non erano richiesti per praticare in una società cristiana. Se non impariamo a vivere di un contatto più immediato e appassionato con Gesù, la decadenza del nostro cristianesimo potrà trasformarsi in una malattia mortale, Oggi noi cristiani viviamo preoccupati e distratti da molte questioni. Non potrebbe essere altrimenti. Non dobbiamo però dimenticare l’essenziale: tutti siamo «tralci», solo Gesù è «la vite vera». La cosa decisiva in questi momenti è «rimanere in lui»: applicare tutta la nostra attenzione al vangelo; alimentare nelle nostre comunità, reti di organizzazioni, gruppi il contatto vivo con lui; non separarci dal suo progetto.
Allora la fede si inaridisce, non è più capace di animare la nostra vita, si trasforma in confessione verbale, vuota di contenuto e di esperienza, triste caricatura di ciò che i primi credenti vissero incontrandosi con il Risorto. Diciamocelo sinceramente: l’assenza di dinamismo cristiano, l’incapacità di continuare a crescere nell’amore e nella fraternità con tutti, l’inibizione e la passività nella lotta coraggiosa per la giustizia, la mancanza di creatività evangelica nello scoprire le nuove esigenze dello Spirito, non tradiscono forse una mancanza di comunicazione vitale con Cristo risorto?
Per quanto possa apparire paradossale, il vuoto interiore può impossessarsi di molti cristiani. Prigionieri di una rete di relazioni, attività, occupazioni e problemi, essi possono sentirsi più soli che mai dentro di sé, incapaci di comunicare in maniera vitale con quel Cristo nel quale dicono di credere.
Forse la sconfitta più grave dell’uomo occidentale è la sua incapacità di vita interiore. Le persone sembrano vivere sempre in fuga, volgono in continuazione le spalle a se stesse. Si direbbe che l’anima di molti sia un deserto.
La mancanza di contatto interiore con Cristo quale fonte di vita conduce lentamente a un «ateismo pratico». Serve poco continuare a confessare formule se non si conosce la comunicazione affettuosa, gioiosa, rivitalizzante con il Risorto, ovverosia la comunicazione di chi sa gustare il dialogo silenzioso con lui, di chi sa nutrirsi quotidianamente della sua parola, di chi sa ricordarlo con gioia durante le occupazioni quotidiane o riposare con lui nei momenti di fatica.
La meditazione personale delle parole di Gesù ci cambia più di tutte le spiegazioni, le prediche, e esortazioni che ci vengono dall’esterno: cambiamo all’interno. Forse è questo uno dei problemi più gravi della nostra vita cristiana: non cambiamo poiché solo ciò che passa per il nostro cuore cambia la nostra vita; e spesso per il nostro cuore non passa la linfa di Gesù.
La fede porta frutto solo quando viviamo giorno dopo giorno uniti a Cristi, vale a dire motivati e sostenuti dal suo Spirito e dalla sua Parola: “Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto”.