28 Apr MARTEDI’ 28.04.2020
Giovanni 6, 30-35
“Io sono il pane della vita”
Questa pagina di Giovanni ci aiuta a cogliere il significato della Eucaristia nel nostro faticoso quotidiano a volte oscuro, denso di frustrazioni e impotenze ma ci invita a rispondere con responsabilità al dono ricevuto.
Quando Giovanni scrive siamo in una nuova fase della vita ecclesiale in cui la Chiesa deve affrontare una nuova forma di assenza del Signore, quando sono ormai finite le apparizioni dopo la Risurrezione.
La vita diventa una cosa pratica: le persone vanno al lavoro, e la Chiesa assume una forma tangibile. Il mistico è sceso dalla montagna, e la Chiesa è entrata nella complessità della vita. Giovanni vuole mostrarci che cosa significhi essere un discepolo, quando si è ormai acquietata l’esaltazione dei primi giorni, quando la prima generazione di cristiani comincia a morire e gran parte della vita della Chiesa è diventata un’abitudine.
I discepoli devono affrontare le stesse nostre sfide: scoraggiamento, tentativi di mantenere unita la comunità, gelosia e morte.
Gesù offre loro e anche a noi un convito, un pane, se stesso.
E’ lo stesso della cena pasquale quando Gesù disse: «Prendetene e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Erano parole che si proiettavano verso il mistero della domenica di Pasqua, quando finalmente avrebbero avuto un senso. Ora prendiamo e mangiamo, e ci dobbiamo chiedere che cosa significhi.
Etty Ilesum scrive: «Il solo modo per trovare armonia è accettare le contraddizioni, anche se per accettare la propria rovina si ha bisogno di forza interiore. Come si porta, si sopporta e risolve il dolore, così si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima».
Nella eucaristia troviamo la forza interiore e s’invera un aspetto centrale dell’esperienza cristiana: Cristo dà se stesso da mangiare, evento di libertà che dischiude l’esistere a una novità: Dio dà appuntamento a tavola ai vicini e ai lontani; è l’amico di tavola dei giusti e degli ingiusti. La vita cristiana, quella generata, sostenuta e illuminata dallo Spirito, è contrassegnata da tale novità: l’esperienza della convivialità con Dio e reciproca per purissima grazia, di cui la celebrazione eucaristica è contemporaneamente epifania e attuazione. In essa accade ciò che appare: l’incontro a tavola dei malati, dei peccatori, degli affamati, degli ignoranti, dei mortali e degli amici con il loro Signore e Padre.
Una convocazione in vista di una manducazione: «Mangiate» e «bevete» per divenire nello Spirito somiglianti a colui che mangiate e bevete, divenire icone dell’Icona nella compagnia umana.
Perché mangiare? Lo scopo immediato è evidente: per sopravvivere. Nella Bibbia quindi il mangiare significa che si è davvero vivi. Gesù appare chiede ai discepoli «qualcosa da mangiare »: è il segno che è vivo. Anche i discepoli, a loro volta, dovranno prender cibo nella gioia, mangiare il pane della vita per vivere secondo la Parola loro annunciata: lo Sposo è presente, vivo; di conseguenza è viva anche la comunità. La vita cristiana, quella generata, sostenuta e illuminata dallo Spirito del Risorto, è contrassegnata da tale novità: l’esperienza della convivialità con Dio e tra di noi per purissima grazia, di cui la celebrazione eucaristica è contemporaneamente epifania e attuazione. In essa accade ciò che appare: Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà più fame. Non avremo fame di autorealizzazione, di potere, di orgoglio e di soddisfare i nostri più o meno oscuri interessi e progetti.
“Signore di amore e di tenerezza, tu vedi i desideri del nostro essere, donaci un cuore semplice, aperto al soffio della tua vita”.