08 Giu FESTA DELLA TRINITA’ 2020
Festa della Trinità
Parlare della Trinità è un’impresa ardua. Sant’Agostino dopo avere scritto il 15° volume su di essa, ha concluso dicendo: con capisco nulla! Tuttavia, pur nella nostra fatica di entrare in questo mistero, umilmente tentiamo di parlarne perché è il fondamento della nostra fede e anche la sorgente e la mèta della nostra vita che si snoda sempre sotto il segno trinitario. Bisogna parlarne anche per un altro motivo, oggi molto urgente ed è l’incontro con le altre religioni in un contesto di pluralismo religioso, dovuto alla mobilità e alle emigrazioni, che avvengono quasi con caratteristiche bibliche.
Nessuno avrebbe potuto mai immaginare l’esistenza di una Divinità-Triplice all’interno della unicità di Dio. Per via razionale forse si può arrivare ad ipotizzare l’esistenza di una «divinità altra», ma mai la ragione potrebbe fondarne la natura trinitaria e nessuna religione l’ha ipotizzata e neppure la postula. Noi infatti l’abbiamo potuto conoscere solo per rivelazione perché solo Dio poteva manifestarsi in questa dimensione.
Un fatto è certo: noi non possiamo conoscere Dio se non attraverso la nostra esperienza umana e da questo punto di vista possiamo solo dire e riconoscere ciò che abbiamo visto e sperimentato: Gesù di Nàzaret, cioè, è venuto tra noi e ci ha parlato di Dio come «Padre» di cui si è accreditato «Figlio», lasciandoci in eredità nell’atto di morire lo Spirito Santo come pegno e garanzia della sua presenza e del suo insegnamento.
Attraverso Gesù abbiamo potuto conoscere la vitalità di un Dio passionale e carnale che vive in sé una vita così piena che non può non trasbordarla al di fuori di sé per inondare la storia dell’umanità e di ciascuno di noi.
La memoria della Trinità ci dice che nemmeno Dio è un essere solitario. Al contrario, la sua natura intima consiste nella comunione e nella relazione che si compie nell’amore. Dio si fa relativo ed accetta i criteri umani di conoscenza.
La rivelazione sconvolgente, che distingue il cristianesimo da qualsiasi altra forma religiosa esistente, è che Dio in se stesso è «relazione». Si capisce perché Giovanni ne dà la lapidaria definizione: « Dio è Amore» perché l’amore è la sola relazione non chiusa in sé, ma generativa da sé. Forse non riusciamo nemmeno a immaginare la portata di questa affermazione e cioè che in Dio non c’è l’immobilità, ma in Dio regna la comunicazione che è esclusivamente relazione d’amore.
Possiamo conoscere Dio nel suo manifestarsi a noi nella storia. Noi non possiamo salire al cielo perché non abbiamo accesso alla divinità, noi possiamo solo conoscere ciò che sperimentiamo all’interno della nostra storia e infatti Dio ha scelto l’unica strada possibile per farsi conoscere: si è incarnato in molti modi e infine nella persona del Figlio perché solo facendosi uomo poteva farsi conoscere e riconoscere da noi.
L’incontro degli uomini con Dio avviene sull’unico terreno per noi possibile: l’umanità. Non bisogna avere paura dell’umanità di Dio perché più si esalta questo versante della umanità di Dio più noi siamo in grado di stabilire un rapporto e una relazione d’amore con Dio che conosciamo nel volto umano di Gesù di Nazaret e attraverso di lui entriamo in un dinamismo d’amore con il Padre e lo Spirito Santo, cioè con la santa Trinità.
Il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze.
Nel cielo, le persone mettono tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità; a loro rimane intrasferibile solo l’identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente l’essere Padre, l’essere Figlio, l’essere Spirito Santo.
Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sè solo ciò che fa parte del proprio identikit personale.
Questo è la pace: la convivialità delle differenze! Le stesse parole che servono a definire il mistero principale della nostra fede, ci servono a definire l’anelito supremo del nostro impegno umano. Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l’equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra.
Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Ecco la Convivialità delle differenze, appunto.
Ma c’è di più: la vita trinitaria del cielo non è solo un modulo da rovesciare sulla terra perchè gli uomini ne vivano le esigenze radicali con uno sforzo di imitazione fine a se stessa.
La Trinità non è solo un archetipo da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno avremo la sorte di sederci, all’unica condizione che anche sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno alla stessa mensa della vita.
Dopo che sulla terra ci saremo impegnati a essere una sola cosa nel Cristo, divenuti “Figli nel Figlio”, prenderemo posto al tavolo della Santissima Trinità .
Come è dato di vedere, il Signore Gesù se ci ha rivelato questo mistero, non l’ha fatto certo per complicarci le idee. Ma l’ha fatto per offrirci un principio permanente di critica cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni personali e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale attraccheremo finalmente la nostra barca.
Sicché la Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui devono scaturire l’etica, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell’economia, le ragioni che fondano l’impegno per la pace e gli orientamenti di fondo del diritto internazionale.
La Trinità , dunque, è una storia che ci riguarda. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l’esistenza cristiana.