Guariento Mario | GIOVEDI’ 21.05.2020
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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GIOVEDI’ 21.05.2020

22 Mag GIOVEDI’ 21.05.2020

Giovanni 16, 16-20

“Gesù comprese che volevano domandargli spiegazioni e disse: ‘Discutete fra di voi perché ho detto: fra poco non mi vedrete, ma poi, dopo un po’, mi rivedrete? Ebbene, io vi assicuro che voi piangerete e vi lamenterete, il mondo invece farà festa. Voi vi rattristerete, ma poi la vostra tristezza diventerà gioia.”
Il tema che caratterizza maggiormente la pericope in esame, è rappresentato dalla gioia; questo brano contiene un autentico messaggio di speranza. La sofferenza, il dolore, la tristezza non possono segnare l’esistenza dell’autentico cristiano. Questi proverà afflizione e piangerà per il trionfo del male, dell’odio, dell’egoismo, però vivrà sempre in una pace profonda, perché è ancorato sulla fede nel Signore risorto. Gesù ha vinto il mondo e nessuna forza avversa può prevalere contro di lui. Il cristiano trova la ragione e la fonte della gioia nel Signore, che ha riportato vittoria sulla morte e sul male. Questa persona divina vive nel cuore dei suoi amici e fa sperimentare, nella fede, la pace profonda della sua presenza salvifica.   Il nostro è un tempo per diverse ragioni può dirsi dominato dal senso del nulla. Ciò appare come un’ evidenza al senso comune. L’essere credenti è stato abitualmente proposto come un offerta di senso, come la possibilità di una promessa a fronte di ogni “nulla” che possa caratterizzare un tempo e una storia. Proporre, anche concretamente, quando non si spera più, briciole di senso che conducano a sperare ancora è una esigenza della spiritualità cristiana.
Ma è questa proposta che è rifiutata e perseguitata. L’utopia, dentro un “mondo senz’anima”, oggi è uccisa dal consumismo, dal trionfo del privato, dal culto dell’individuale, dalla coscienza falsa. Perciò il consumismo è, secondo un’acuta paradossale intuizione, “sazio e disperato”: sazio perché divora l’istante, disperato perché non ha prospettive e visioni anzi nella sua disperazione vorrebbe cancellare chi spera e crede in un futuro di piena realizzazione di sé.
Il vangelo è la buona notizia di Dio ai poveri, e tra questi coloro i cui giorni non hanno senso, non omogenei alla cultura dominante e neppure alla sua critica, né truppa di consenso né movimento di dissenso, semplicemente senza senso, nauseati dei venditori di immagine e di proposte significative. La fede cristiana, se riusciamo a disseppellirla da sotto eterogenee montagne che da duemila anni l’hanno ricoperta, è fede nell’assoluto che si fa relativo, nell’insufficienza cioè delle loro separate e contrapposte autonomie.
Essere credente: luogo del paradosso e della emarginazione. Tuttavia sentiamo anche il richiamo alla speranza, al tempo della croce come stagione propria dell’uomo e del Dio dell’impossibile.
Giovanni Crisostomo evidenziava: «Ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la disperazione». Pensiamo, allora, che è urgente riflettere e coltivarsi come uomini di speranza perché essa ci educa a non trascorrere i nostri giorni da rassegnati e a non concedere mai, rabbiosamente, spazio alla distruzione.
La speranza coltivata è seme dirompente che ci consente di camminare in libertà e di scegliere ogni giorno la via della vita. Essa consente, al credente e al non credente, di inserirsi nella dinamicità degli eventi storici, di guardare in profondità gli avvenimenti e di accettare il rischio delle scelte presenti con la costante tensione al futuro. La speranza coltivata crea nell’uomo un atteggiamento attivo, nutrito di coraggio e di fortezza d’animo, che alimenta la resistenza nella sofferenza e la tensione nella lotta. Essa dà un respiro fresco all’uomo e lo attiva a vivere il suo impegno nel mondo, non perché rimanga quello che è, ma perché si trasformi e diventi ciò che gli è promesso che diventerà.

Fragile ala
su mari di melanconia
e deserti di accidia
piccolo seme
unico respiro
sperare  disperare. 

Luca Sassetti