14 Mag GIOVEDI’ 14.05.2020
Giovanni 15, 9-17
«Rimanete nel mio amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Fin dalla sua nascita, il cristianesimo si è presentato come la proclamazione di una grande gioia: Dio è con i suoi figli e le sue figlie, e ne cerca la felicità ultima. Senza questa gioia, il cristianesimo risulta incomprensibile. Di fatto, la fede cristiana si è estesa per il mondo come un’esplosione di gioia, e comincia a perdere terreno là dove tale gioia inizia a spegnersi.
Non ha perso di attualità l’accusa che Friedrich Nietzsche mosse ai cristiani: «Dovrebbero cantarmi canti più gioiosi. Dovrebbero avere volti da salvati perché io creda nel loro Salvatore». Queste parole, citate tante volte, sono un buon indicatore di quello che non pochi provano di fronte a un cristianesimo che risulta loro troppo triste, cupo e invecchiato.
La gioia del cristiano non è frutto del benessere materiale o del godimento di una buona salute, non nasce da un temperamento ottimista, ma è piuttosto conseguenza di una viva fede Gioia non è solo un sentimento, ma un modo di essere nella vita, di intendere e di vivere tutto, compresi i momenti brutti. Ciò equivale a sperimentare giorno dopo giorno la verità delle parole di Gesù: « Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Molti cristiani non danno importanza alla gioia. Sembra loro qualcosa di secondario, addirittura di superfluo, di cui non ci si deve occupare. È un grave errore: senza gioia è difficile amare, lavorare, creare, vivere qualcosa di grande. Senza gioia è impossibile un’adesione vitale a Cristo. La gioia è, in qualche maniera, «il volto di Dio nell’uomo», secondo il bel titolo di un recente libro di Alphonse Goettmann.
Cristo è sempre fonte di gioia e di pace interiore. Coloro che lo seguono da vicino lo sanno, e a loro volta diventano fonte di gioia per altri, poiché la gioia cristiana è contagiosa.
Le prime generazioni cristiane curavano molto la gioia. Sembrava loro impossibile vivere altrimenti. Le lettere di Paolo di Tarso, che circolavano per le comunità, ripetevano spesso l’invito a essere lieti, gioiosi, nel Signore. Che cosa è potuto avvenire perché la religione dei cristiani appaia oggi a molti come qualcosa di triste, noioso e penoso? In cosa abbiamo trasformato l’adesione a Cristo risono? Che ne è stato di quella gioia che Gesù trasmetteva ai suoi seguaci? Dov’è finita?
La gioia non è un elemento secondario nella vita di un cristiano, ma ne costituisce un tratto caratteristico, l’unico modo di seguire e di vivere Gesù. Anche se ci sembra «normale», è veramente strano «praticare» la religione cristiana senza sperimentare che Cristo è fonte vitale di gioia.
La gioia del credente non è frutto di un temperamento ottimista, non è il risultato di un tranquillo benessere, non va confusa con una vita senza problemi e senza conflitti. Lo sappiamo tutti: un cristiano sperimenta la durezza della vita con la stessa crudezza e la stessa fragilità di ogni altro essere umano.
Il segreto della sua gioia è altrove, al di là della gioia che si sperimenta quando «le cose vanno bene». Paolo di Tarso dice che si tratta di «una gioia nel Signore», che si vive rimanendo radicati in Cristo. Giovanni dice qualcosa di più: è la stessa gioia di Gesù in noi.
La gioia cristiana nasce dall’unione intima con Gesù Cristo. Per questo non si manifesta di solito nell’euforia o nell’ottimismo a ogni costo, ma si cela umilmente in fondo all’anima credente. È una gioia che si trova alla radice stessa della vita, sostenuta dalla fede in Gesù.
Questa gioia non la si vive voltando le spalle alla sofferenza presente nel mondo, poiché è la gioia di Gesù stesso in noi. Anzi, essa si trasforma in principio di lotta contro la tristezza. Poche cose possiamo fare di più grandi ed evangeliche che alleviare la sofferenza delle persone infondendo gioia realistica e speranza.