04 Mag DOMENICA 26.04.2020
Luca 24, 13-35
Per inquadrare l’episodio dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus, è opportuno sottolineare un particolare della struttura del Vangelo di Luca: Luca centra tutto il suo Vangelo su Gerusalemme. Ci sono continue salite di Gesù alla città santa.
Nell’episodio del c. 24, i due discepoli non salgono, ma lasciano Gerusalemme. Essi sono nell’angoscia come Maria e Giuseppe quando smarriscono Gesù a Gerusalemme. Anche i due discepoli però lo trovano mentre spiega le Scritture, non più nel tempio, perché il tempio ormai è Gesù stesso, nello stesso ministero, il suo ministero primario, essenziale, quello per cui innanzitutto è venuto nel mondo: spiegare le Scritture.
Ciò che fa Gesù a dodici anni è profezia, anticipazione di ciò che fa il Risorto quando incontra i due.
I due episodi sono allora paralleli: con uno termina il Vangelo dell’infanzia al tempio, con l’altro il Vangelo della predicazione. Ambedue hanno la stessa struttura, gli stessi elementi: due persone che lasciano la città santa, due persone che parlano di lui, due persone che lo cercano per tre giorni, due persone che lo trovano il terzo giorno mentre spiega le Scritture.
I discepoli di Emmaus si allontanano da Gerusalemme, lasciano gli Undici e se ne vanno con tristezza indicibile. Hanno perso il loro maestro, hanno perso il loro profeta; non hanno più speranza: «Noi speravamo».
Se ne vanno verso l’oscurità. Sono senza intelligenza, sciocchi e tardi di cuore nel credere, perché non ricordano le parole dette da Gesù.
Quante volte Luca sottolinea che occorre ricordare, occorre serbare nel cuore le parole pronunciate da Gesù. Dimenticando le parole che Gesù ha detto salendo verso Gerusalemme è inevitabile che la comunità si dissolva: ognuno va per conto proprio, come questi due discepoli di Emmaus, che lasciano la comunità.
È importante sottolineare che si tratta di parole di Gesù che noi abbiamo direttamente udito, ma è attorno alla Parola ricordata che la comunità e la vita si costruiscono.
La comunità è affidata alla parola del Signore: ecco l’importanza che Luca dà al ricordo della Parola.
Di fronte al loro atteggiamento Gesù obietta che essi dimostrano di non credere alle parole che lui aveva pronunciato sulla necessità della sua passione, morte e risurrezione. Non il vedere i segni, i miracoli, i prodigi, ma l’ascolto della Parola fa nascere la fede. Per Luca sono le parole di Gesù l’elemento discriminante e fondante della fede, il loro ascolto, il ricordo della Parola.
Gesù, che agli occhi dei due discepoli incapaci di riconoscerlo, perché impediti e accecati, appare come un pellegrino, prende lui la parola. Questa è la chiave unica e fondamentale, la sola vera per la conoscenza del Cristo. La Scrittura è fondamento, energia, potenza che fa gli eventi, che fa la storia.
La Parola ci invita a rappresentare l’agire cristiano, non già come “un fare pratico” bensì come un “fare del cuore” che nutrendoci dell’ascolto della Scrittura, meditata e interiorizzata, ci scopriamo abilitati alla testimonianza. La parola di Dio è al tempo stesso Parola e storia. E’ la vita lo spazio, dove parola e storia si congiungono, che si inserisce la forza della profezia. L’efficacia della parola di Dio sta tutta nella forza della sua verità. La Parola porta rispetto all’uomo, rispetto della libertà, non costringe, attende il consenso. E’ dunque indispensabile la fedeltà alla propria contemporaneità alle prese con interrogativi fondamentali e agli uomini del nostro tempo.
L’ascolto richiede che si sia in sintonia con la vita e con i veri problemi che essa pone.
Un uomo alienato dalla vita e distratto dai problemi essenziali non è in grado di comprendere la parola, ha bisogno di silenzio, di umiltà e di fraterno confronto.