Guariento Mario | DOMENICA 13.09.20
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DOMENICA 13.09.20

14 Set DOMENICA 13.09.20

Matteo 18, 21-35

All’epoca di Gesù, ogni rabbino che radunava discepoli, di fatto, formava una scuola che si distingueva per il suo rigore o per la sua tolleranza nell’interpretare la Toràh. Sono famose due scuole del periodo tannaìta: quella di Rabbi Shammài, più tradizionalista e rigido, e quella di Rabbi Hillèl più aperto e tollerante. Sappiamo che Paolo era di questa seconda scuola perché fu discepolo a Gerusalemme di Gamalièle che con ogni probabilità fu nipote e discepolo di Hillèl. Una delle tante scuole arrivava addirittura a proporre il perdono fino a sette volte, che è considerato un limite alto, dato il simbolismo del numero 7 che indica totalità. Perdonare fino a sette volte significa quindi perdonare fino in fondo, perdonare completamente, perdonare senza riserve. Nella risposta a Pietro Gesù va oltre la quantificazione e, superando il criterio tariffario, si situa sul piano di Dio, capovolgendo tutta la dottrina come si era codificata nella tradizione, offrendo così il nuovo orizzonte dell’imitazione di Cristo che giunge fino all’amore del nemico, perché nella nuova economia della salvezza scompare la categoria relazionale «amico-nemico» che ha dominato la storia passata e compare la nuova condizione del genere umano che vede solo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre. Pertanto Gesù invita i suoi discepoli a superare le casistiche morali e a farsi imitatori del Padre che è nei cieli. 

Matteo nella parabola che ci propone dei due debitori sottolinea la sproporzione tra il comportamento di Dio e quello dell’uomo. 
Il debito del primo servo è fissato in 10 mila talenti, circa  60 milioni di denari, e quello del secondo in appena 100 denari. La discrepanza tra la somma condonata al primo e la somma pretesa dal secondo richiama immediatamente la sproporzione tra la trave e la pagliuzza  per sottolineare la distanza tra l’infinita gratuità divina e l’estrema debolezza dell’uomo peccatore davanti a Dio. L’attitudine alla misericordia non è naturale perché è la violenza inscritta nella natura delle cose e dell’uomo: essa è un processo lungo di educazione, di contemplazione e di fatica. Con la parabola del debitore insolvente che è cinico nei confronti del suo collega, Gesù libera il perdono da ogni condizionamento sociale e morale per farne solo il segno sacramentale della nuova economia di salvezza: il perdono dato agli altri è il prolungamento del perdono ricevuto. Chi è stato perdonato non può non perdonare. Questo principio diventa la regola d’oro del vangelo: «Tutto quanto volete che gli altri facciano a voi, anche voi fatelo a loro.

Un abisso separa il senso della giustizia dell’uomo da quello di Dio: la prima è interessata quando non è corrotta, la seconda invece è gratuita e liberante perché Dio è giusto in quanto perdona e in lui giustizia e misericordia sono sinonimi. Davanti a tanta sfrontatezza, Matteo condanna colui al quale è stato perdonato molto giacché mai il servo avrebbe potuto restituire in vita la somma dovuta. Alla luce di questi indizi noi rileviamo che Matteo pone il perdono in un contesto escatologico per sottolineare che la venuta del Messia Gesù inaugura il grande anno sabbatico nel quale Dio condona all’umanità intera l’immenso debito di peccato accumulato lungo tutto il cammino dell’uomo dagli inizi fino ad oggi, ma non tutti hanno accettato e accettano per cui da soli si escludono dal perdono: si escludono dalla vita perché vivere nella morsa della vendetta significa vivere sprofondati nell’inferno della disperazione e del dolore.
Vorrei proporre in proposito la riflessione di un libretto dal titolo curioso: Il fiume della nostra vita. “ A ogni offesa dell’amore, a ogni ferita, c’è un perdono da dare o da ricevere, per non procedere ricurvi, diffidenti e tristi, per non scegliere un comportamento che si maschera e si chiude in ruoli, modelli e meccanismi di difesa, che spesso hanno le loro radici nei risentimenti e nel perdono non dato.”

Il poeta Charles Péguy dice che quella pecorella, come pure il figlio minore, smarrendosi ha fatto tremare il cuore di Dio. Dio ha temuto di perderla per sempre, di essere costretto a privarsene in eterno. Questa paura ha fatto sbocciare la speranza in Dio e la speranza, una volta realizzatasi, ha provocato la gioia e la festa.
“Ogni conversione dell’uomo alla misericordia è il coronamento di una speranza di Dio”.
In un suo romanzo, Dostoevskij descrive un quadretto che ha tutta l’aria di una scena osservata dal vero. Una donna del popolo tiene in braccio il suo bambino di poche settimane, quando questi per la prima volta, a detta di lei, le sorride, tutta compunta, ella si fa il segno della croce e a chi le chiede il perché di quel gesto risponde: “Ecco, allo stesso modo che una madre è felice quando nota il primo sorriso del suo bimbo, così si rallegra Iddio ogni volta che un peccatore si mette in ginocchio e riconosce nel perdono il sorriso di Dio .“
Il vangelo del perdono è la gioia del vangelo e genera nel cuore un sapore nuovo della vita: può perdonare solo chi è consapevole di essere amato. Il perdono è il mestiere di Dio che ci chiama ad assumerlo come programma del nostro cammino verso il compimento del Regno, attraverso le contraddizioni, la fatica e anche la gioia della storia di tutti i giorni. Peccare è difficile, ma perdonare è più facile perché basta abituarsi a saper ricevere e a pensare, vivere e agire come Gesù ha pensato, ha vissuto e ha agito: «imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».

“Noi esseri umani, diceva sant’Agostino, siamo come vasi di creta che, solo sfiorandosi, si fanno del male”.
Non si può vivere insieme in armonia, in ogni tipo di comunità, senza la pratica della misericordia reciproca.