10 Ago DOMENICA 09.08.20
Domenica XIX Matteo 14, 22-33
Soli, in mezzo alla tempesta.
Il rabbi itinerante osannato dalle folle, ricercato come un idolo non è il progetto della volontà di Dio. Gesù comprende questa non corrispondenza tra il disegno della folla e la volontà del Padre. È deluso dall’atteggiamento della folla e prende una decisione: congeda la folla, cioè se ne stacca e si libera dall’ossessione del risultato. Di fatto, è il primo fallimento di Gesù. Da questo momento, egli si dedica alla formazione dei discepoli ai quali fa una serie di lezioni per educarli a vedere oltre i segni, oltre le apparenze. Non insegna loro come raggiungere un risultato, ma come devono essere autentici e quale metodo devono utilizzare per essere sempre se stessi e fedeli alla loro missione che coinvolge direttamente il nome e il volto di Dio. Tra i discepoli occupa un posto privilegiato Pietro, al quale Gesù riserva una particolare attenzione, proprio perché è il più debole di tutti, quasi a ricordargli che non è primo per onore, ma per amore e servizio. La camminata di Pietro sulle acque e relativo affondamento hanno un insegnamento importante: Gesù trasmette ai suoi discepoli i suoi poteri messianici e invita Pietro a sperimentare a dominare le acque, simbolo biblico del male. Pietro ha paura e Gesù lo invita ad avere fede, perché i poteri di Gesù non sono frutto di magia o di superficialità, ma una condivisione di vita e una relazione di fedeltà. Vincere il male del e nel mondo non è dunque frutto della capacità della chiesa, ma dell’adesione intima e vitale alla persona di Gesù, è vivere fino in fondo la propria vita in intima unione con il Signore. Solo se è fedele al suo Signore, la Chiesa saprà essere anche sacramento della sua presenza nel mondo e capace di lottare contro ogni male che assedia l’umanità, ma se la chiesa si mischia con la logica di potere del mondo, il male stesso la frantumerà e la disperderà. Ogni credente deve purificarsi da ogni sete di dominio e di potere, da ogni idolatria di successo, da ogni satanico possesso. Oggi in tutto il mondo, c’è un ritorno al fondamentalismo da parte di quasi tutte le religioni più significative che alimenta un rigurgito di religione irrazionale, fatta di riti e di rubriche fino al punto che alcuni fanatici si sostituiscono a Dio, facendosi suoi giustizieri. Sempre quando la società regredisce alcuni vogliono imporre la loro visione di mondo e i loro stili di vita. È il destino dei «religiosi» che ascoltano se stessi, ma non la Parola di Dio o la confondono con la loro ideologia.
«Coraggio, sono io, non abbiate paura! ». Gesù vuole infondere nei discepoli la sua forza, la sua sicurezza e la sua fiducia assoluta nel Padre. Pietro è il primo a reagire. Il suo comportamento è, come sempre, modello di affidamento fiducioso ed esempio di paura e debolezza. Dapprima cammina sicuro sulle acque, poi «s’impaurisce»; dapprima va fiducioso verso Gesù, ma poi dimentica la sua Parola, sente la forza del vento e comincia ad «affondare».
Nella Chiesa di Gesù quando entra la paura diventa molto difficile liberarsene. Abbiamo paura della perdita del prestigio e del potere, del rifiuto della società. Ci temiamo a vicenda: la gerarchia indurisce il suo linguaggio, i teologi perdono di libertà, i pastori preferiscono non correre rischi, i fedeli guardano con timore al futuro. Al fondo di queste paure si trova quasi sempre la paura di Gesù, la poca fede in lui, la resistenza a seguirne i passi. Lui stesso ci aiuta a scoprirlo: Uomini di poca fede, perché avete dubitato? La religione è sottoposta a ogni tipo di accuse e sospetti. Si parla del cristianesimo come di una «religione terminale», appartenente al passato; si dice che stiamo entrando in un’era post-cristiana. In alcuni nasce l’interrogativo: la religione non sarà un sogno irreale, un mito ingenuo destinato a scomparire? È questo il grido dei discepoli, quando scorgono Gesù in mezzo alla tempesta: «È un fantasma! ».
Oggi è necessario imparare a credere dal dubbio. Non è facile rispondere con sincerità alla domanda che Gesù fa a Pietro proprio mentre lo salva dalle acque: « Perché hai dubitato?».
A volte, le nostre convinzioni più profonde svaniscono e gli occhi dell’anima si turbano, senza che sappiamo esattamente perché. Princìpi fino ad allora accettati come incrollabili, cominciano a vacillare. E nasce in noi la tentazione di abbandonare tutto, senza ricostruire nulla di nuovo.
Altre volte, il mistero di Dio si fa opprimente in noi. Non dimentichiamo che la fede è «camminare sulle acque», ma con la possibilità di trovare sempre questa mano che ci salva quando cominciamo ad affondare. Non poche volte la superficialità e la leggerezza della nostra vita quotidiana e il culto segreto a tanti idoli ci fanno piombare in lunghe crisi di indifferenza e scetticismo interiore, con la sensazione di avere realmente perso Dio.
La prima cosa è quella di non disperarci o spazientirci se scopriamo in noi dubbi e vacillamenti.
La ricerca di Dio si vive quasi sempre nell’insicurezza, nell’oscurità e nel rischio. Dio, lo si cerca «a tentoni». E non dobbiamo dimenticare che molte volte «la fede genuina può apparire solo come un dubbio superato». L’importante è accettare il mistero di Dio con il cuore aperto. La nostra fede dipende dalla verità della nostra relazione con lui. E non c’è bisogno di aspettare che i nostri interrogativi e dubbi si risolvano, per vivere nella verità davanti a questo Padre.
Per questo l’importante è saper gridare come Pietro: «Signore, salvami! ». Saper levare a Dio le nostre mani vuote, non solo come gesto di supplica, ma anche di consegna fiduciosa. Pregare non è presentarsi davanti a Dio e nemmeno compiere uffici o proclamare lode e neanche ringraziare Dio: tutto ciò è parte ancora di un rapporto esteriore. Pregare è permettere a Dio di contemplare il nostro volto orante e di ascoltare la nostra voce. Pregare è fare spazio a Dio sposo perché possa vedere e sentire e toccare la sua sposa.
Pregare per il Targùm è rispondere all’anelito di Dio di vedere il volto del suo figlio/figlia. Pregare è perdere tempo per permettere a Dio di contemplarci.