07 Set DOMENICA 06.09.20
Matteo 18,15-20
Il tema centrale del brano evangelico, è sicuramente il «perdono» ed è molto significativo che costituisca il perno del discorso sulla comunità. Vivere da soli è più facile che vivere in comunità: la vita comunitaria, di coppia, familiare, ecclesiale, monastica è più difficile perché non si basa solo sulla divisione dello spazio, sulla regolamentazione del tempo, sulla sincronia di tempi e spazi comuni, cioè sulla logistica esteriore, ma sulla «comunione» che è qualcosa di più profondo della «condivisione» e anche più imponderabile. Alla base della vita di comunione c’è una scelta. La vita comune come la vita di coppia, dal punto di vista cristiano, non si fonda sulla reciprocità che è un criterio mercantile, che, quando degenera, si trasforma in dinamica di scambio di merce; essa al contrario si basa sul riconoscimento duplice: dell’altro come parte di sé e di sé come «luogo vivente» di accoglienza. Questa visione contiene in sé l’amicizia, l’amore, la gratuità e anche il perdono, non come una concessione di chi è ferito da eventuali torti verso chi ha ferito, ma come orizzonte all’interno di una prospettiva di vita, un dinamismo dell’esistenza. Il perdono è prendersi cura dell’altro come parte vitale della propria esistenza, non solo quando sta bene, ma anche nella fragilità, nello smarrimento come ci s’impegna il giorno del matrimonio: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita».
Per tutta la sua vita la preoccupazione maggiore di Gesù è stata quella di prendersi cura dei più piccoli e ora ne fa il criterio di valutazione della evangelicità della vita delle comunità. La parabola della pecora smarrita, raccontata nei versetti precedenti, diventa la chiave d’interpretazione dell’agire di Dio: Dio non abbandona alcuno al suo destino, ma rincorre sempre chi si perde; anche la comunità cristiana pertanto non può assumere un atteggiamento diverso nel suo pellegrinaggio nella storia.
Dio si prende cura della pecora smarrita e per cercarla lascia tutto. Gesù stupisce per lo sconvolgimento radicale che propone ai criteri della vita cristiana: i piccoli diventano l’unità di misura della comunità nata dal vangelo. Al tempo di Gesù i piccoli erano una categoria ai confini della stessa esistenza: vivevano e crescevano per volere altrui, sempre in funzione della tribù. Insieme alle vedove e agli stranieri costituivano gli emarginati del tempo. Ma nel discorso di Gesù diventano soggetto di relazioni e detentori di un diritto: quello di non essere scandalizzati, per cui sono degni di attenzione e di protezione. In questo senso i «piccoli» all’interno della comunità di Matteo potrebbero essere coloro che il comune sentire religioso esclude perché considera peccatori. Coloro che si ritengono giusti sono sempre tentati di considerare gli altri «diversi» e «peccatori»: Gesù afferma espressamente di non essere venuto per costoro che comandano Dio a bacchetta perché hanno la presunzione di insegnargli chi deve assolvere e chi deve condannare. Il vangelo di oggi è una catechesi su come rapportarsi con «i piccoli», cioè con i peccatori che trasgrediscono le norme perché non hanno gli strumenti teologici d’investigazione. I peccatori hanno diritto di essere parte attiva della comunità che se ne fa carico e li custodisce fino alla maturità della crescita. Questo metodo fonda un nuovo stato di relazioni.
«Se il tuo fratello commetterà una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo»: non si tratta di rispondere a un torto ricevuto, ma di prendersi cura del fratello che sbaglia, il quale deve essere tutelato nella sua dignità: «fra te e lui solo», non bisogna salvaguardare il principio in sé, ma bisogna comunque salvare la «persona» che viene prima di ogni principio. Il coinvolgimento di alcuni membri della comunità in qualità di testimoni qualificati ha il compito di rafforzare la riservatezza perché il loro intervento mette in risalto per la seconda volta il valore della persona. Solo in ultima istanza, interviene la comunità che costituisce ancora una volta un terzo grado di appello perché ancora il «valore» da salvaguardare è sempre la persona e la sua dignità.
«Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.» L’Assemblea orante non si riunisce per bearsi di un momento di tranquillità e per estraniarsi dal mondo, ma è convocata dallo Spirito per rendere testimonianza al mondo che il Signore è presente «in mezzo», come l’albero della vita è piantato «in mezzo» del giardino di Eden, come il Cristo crocifisso è piantato «in mezzo» delle tenebre umane. Matteo riporta un detto che si è trovato tra le mani, proveniente chissà da quale tradizione o ambiente, e ne fa un principio ecclesiologico portante: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì Io-Sono in mezzo a loro». Purtroppo quasi sempre questo detto sulla preghiera è interpretato superficialmente e fuori luogo: il testo non dice che basta riunirsi in due o tre per fare Chiesa o gruppo privilegiato, ma che la Presenza di Cristo nella Chiesa deve essere attestata da «due o tre radunati nel mio Nome». Non è la comunità che rende presente Dio, ma è la Presenza di Cristo che dà fondamento e senso alla testimonianza della comunità. Pregare qui significa farsi carico del peccato altrui per presentarlo a Dio nella comunitaria assemblea orante, affinché lo Spirito di Dio sappia, a modo suo, convertire il cuore del peccatore. Pregare significa essere presente, contemporaneo e compagno di viaggio anche di chi se ne è andato per i fatti suoi e ha voluto rompere tutti i ponti dietro di lui. Anche di fronte al peccato la Comunità non perde la speranza della conversione del peccatore e per questo chiama a testimoni «due o tre», perché diano valore alla preghiera che diventa così la condizione permanente della Comunità che non si rassegna a perdere un solo figlio. Il cristiano non ha nemici e non rompe con nessuno perché si fa «prossimo» a tutti. Matteo inserendo in questo contesto il detto sulla preghiera, ci insegna che essa è il luogo privilegiato dove si sconfigge il peccato perché ci si immerge nel mistero stesso di Dio per scoprire la nostra vocazione comunitaria. La comunità cristiana è una comunità in cammino che ha sempre bisogno di purificazione e di rinnovamento nel perdono dato e accolto.