Guariento Mario | DOMENICA 08.11.20
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 08.11.20

06 Nov DOMENICA 08.11.20

Matteo 25, 1 – 13

Il testo non è un racconto di un fatto reale, ma nell’intenzione di Matteo si tratta di un’allegoria esortativa, che descrive l’atteggiamento della Comunità nel tempo dell’attesa, nell’oggi della storia. Che sia un’allegoria è provato dal fatto che ci troviamo di fronte a «dieci vergini», uno sposo in ritardo e una sposa totalmente assente, per cui non si può dire che il tema della parabola sia quello nuziale. Probabilmente essa è frutto di diverse mani e in diversi tempi. Matteo ci presenta una Comunità a disagio nel mondo, rassegnata alla religione dei rituali e dell’obbligo che fa fatica a esercitare il ministero della profezia, della testimonianza: si sente estranea nel mondo che invece dovrebbe considerare suo ambiente naturale. Per quanto riguarda le «dieci vergini», non bisogna separarle in gruppi di cinque; il testo dimostra che i primi cristiani hanno identificato tutta la chiesa nelle dieci vergini, nelle sagge come nelle stolte, perché la Chiesa è composta di santi e peccatori. L’ambivalenza è costitutiva della Chiesa in cammino nella storia. Nessuno può delimitare con certezza il confine tra bene e male,  santo e malvagio perché in ognuno di noi vi è tutto questo, e lo scopo della vita è imparare a distinguere, discernere, identificare e separare. Anzi, in ogni santo c’è sempre in agguato un peccatore pronto a emergere e a prendere il sopravvento, così come in ogni credente dorme e veglia il non credente che a volte domina la scena della vita.I rabbini, commentando lo Shemà Israel, insegnano che in ebraico la parola cuore, lebàb, ha due lettere «b». Esse simboleggiano le due tendenze che sono sempre presenti nel cuore umano: la tendenza al bene e quella al male. Nessuno si può sottrarre all’una o all’altra: esse convivono come sorelle nell’intimo di ciascuno di noi. Bisogna imparare ad amare Dio sia con la tendenza al bene sia con quella al male. Il dramma non è il male in sé, ma quando, dopo averne preso coscienza e osservandolo distintamente, lo scegliamo come obiettivo della nostra vita.  La chiesa è una  convocazione di uomini e donne, un’assemblea pellegrina di santi e peccatori che va incontro al Signore che viene: lungo il viaggio alcuni curano le lucerne accese della vigilanza, altri si lasciano distrarre dalla dispersione, altri si smarriscono per strada. C’è chi fissa lo sguardo sull’essenziale e chi invece si attarda sulle futilità e sui preparativi, perdendo di vista l’orizzonte finale. Oggi diremmo che nella chiesa vi sono fondamentalmente due categorie di persone: chi è consapevole della posta in gioco, avvenuta con l’incarnazione del Verbo, cui aderiscono con piena coscienza e chi si accontenta di un’appartenenza solo sociologica, magari scaldandosi nella difesa del cristianesimo quando si sentono minacciati dall’esterno e usano la religione come scudo contro di altri che considerano diversi da sé. Forte è l’invito di Gesù a vigilare per l’imminenza del Regno. Il Regno appartiene a chi sa uscire, varcare notti e solitudini, vivere di incontri.

Il regno dei cieli è simile a dieci lampade nella notte; a dieci piccoli occhi di luce, necessari all’incontro, suffi­cienti solo al primo passo.
Ma a ogni passo la luce ci accompagna e si rinnova: rimane un orizzonte di tenebra, ma in esso il Regno è come una palla di luce, una notte assediata dal sole.

Cinque ragazze non prendono con sé olio, e vedono le loro lampade spegnersi. La loro presenza si dissolve nella notte. La loro vita, la mia, o è presenza luminosa o non è nulla, o porta luce e illumina qualcuno o non esiste. Il mio rischio è dissolvermi nell’insignificanza di una notte senza incontri.
Lo scopo della vita spirituale è un cuore unificato, reso semplice dall’azione dello Spirito. “Donami un cuore semplice che tema il tuo Nome” (Sal 86,11 b). Il cuore unificato è il frutto maturo della fede vissuta come relazione con le Persone divine. Ed è proprio questa relazione con il Padre, il Figlio e lo Spirito santo che permette l’unificazione della persona.
Il mistero trinitario è un mistero di relazione e comunione nell’Amore.
Due sono i rivelatori del Padre: il Figlio e lo Spirito santo. Il Figlio esprime riflessione, pensiero, acutezza, precisione, ordine interiore, verità; lo Spirito santo esprime la vita, la festa, il canto, la gioia, la risurrezione. Il Figlio e lo Spirito insieme rivela­no il Padre. Senza lo Spirito, Cristo può facilmente diventare una teoria, uno schema mentale. Il principio più impor­tante della teologia della bellezza è proprio l’unità del­la Trinità.

Così si esprimeva Pavel A. Florenskij:
“La verità rivelata è l’Amore e l’Amore realizzato è la bellezza”. La bellezza quindi è un mondo penetrato dall’Amore. Se noi viviamo la realtà nell’ Amore allora lo scopo della vita spirituale diventa la bellezza. «Noi tutti siamo peccatori. Ma siamo vasi di argilla colmi di oro scintillante. Di fuori anneriti e imbrattati, ma dentro risplendenti di una luce accecante».

Occorre dissotterrare questo cuore preziosis­simo, questo nucleo angelico che si cela misteriosamente in ogni uo­mo, terso come una stilla di rugiada che arde e scintilla al sole per po­terne scoprire l’intima sostanza, «il tempio misterioso, santo, rag­giante di bellezza celeste in cui dimora lo Spirito santo»”. La vita spiritual è imparare a dissotterrare questo cuore in cui abita lo Spirito, affinché risplenda della sua divina bellezza. La Sapienza che viene dall’alto manifesterà allora in noila luminosa presenza di Dio, le sue viscere di misericordia, il suo Volto rivolto al mondo, e nello stesso tempo rivelerà la segreta trasparenza delle cose in un cuore purificato.
Il Signore ci invita a scoprire l’altro con cui condividere non solo l’attesa, ma anche l’olio della speranza. Oggi è il tempo della vigilanza che è anche il tempo del coraggio e della profezia, cioè dell’impegno che noi alimentiamo ed educhiamo con il Pane, il Vino, la Parola e l’ alimento della preghiera, della meditazione e della contemplazione  che sono l’olio che nutre la lampada della nostra fede che cammina nella storia.