31 Ago DOMENICA 30.08.20
Matteo 16, 21-27
Gesù c’invita a rinunciare a se stessi, a prendere la croce e a seguirlo: certamente Gesù non ha studiato marketing perché saprebbe che nessuno può presumere di vendere qualsiasi merce con connotazioni negative. I venditori devono esporre la propria merce con dovizie di esuberanze positive, lodandone le qualità, il successo, la piena realizzazione di sé. Pietro ha appena tentato di distrarre Gesù dal suo cammino, rifiutandosi di fatto di seguirlo verso Gerusalemme, la città dove si sarebbe manifestato il Messia crocifisso, scandalo e obbrobrio dei benpensanti laici e religiosi.
Ora Gesù diventa duro e intransigente: non c’è posto al suo seguito per chi è in cerca di carriera, di successo mondano e di approvazione degli uomini. Ora si fa sul serio: chi vuole essere suo discepolo deve rinunciare a se stesso, significa che deve rinunciare a pensarsi secondo gli schemi e le prospettive del mondo e anche di rinunciare ad andare dietro ad un Dio fantoccio costruito con le proprie idee e aspettative. In altre parole «rinunciare a se stessi» significa imparare a conoscersi dal punto di vista di Dio e della propria vocazione.
Come è strano il Dio di Gesù Cristo che con un gesto o una parola potrebbe sconvolgere il mondo come con la parola ha creato l’universo e invece si sottomette alla logica illogica della povertà, della morte, della gratuità e del dono di sé senza chiedere contropartita. Se Pietro pensa di salvare la vita, allontanandosi dal suo cammino di discepolo del Messia crocifisso, egli scoprirà di averla perduta perché morire è solo smarrire il senso della vita e la direzione della propria vocazione. Se invece la perderà, accettando l’irrazionalità di Dio che sceglie ciò che nel mondo è spazzatura per confondere i sapienti, allora Pietro, e con lui tutti i discepoli futuri, ritroveranno che il valore della vita e della morte non sta nella vita e nella morte, ma nel senso che hanno e che esse esprimono. A volte coloro che appaiono vivi sono morti che camminano, mentre coloro che sono morti, sono segni di vita piena.
La «mentalità del secolo presente», cioè il paganesimo autosufficiente, spesso ammantato di religiosità, oggi è sottile e si diffonde anche all’interno della Chiesa; qui si può essere affascinati dalla gloria, dai rituali del mondo. Una chiesa mondanizzata è servile, senz’anima e clericale nella forma. È facile radunare folle oceaniche attorno a un’idea religiosa, è difficile invitare a prendere la croce della passione per andare incontro alla risurrezione, passando per la fatica della vita di ogni giorno che attraversa il mondo e l’umanità sofferente bisognosa di pane, di acqua e di esistenza in dignità e giustizia.
È necessario ritornare alla seduzione di Dio, al dinamismo delle relazioni amorose per valutare lo spessore della propria consistenza e della propria verità. Per questa sua paradossalità radicale, la croce di Cristo non è una spiegazione del dolore presente nel mondo, non è una scappatoia razionale di fronte all’ invadenza del male. Piuttosto è un dito inesorabilmente puntato contro quel male che ha assalito Dio medesimo. Ma questo significa che l’ amore di Dio ha abbracciato da sempre tutta la sofferenza del mondo, con amore divino libero, le cui dimensioni nel tempo e nell’ eternità nessuno può scandagliare; un amore che, assumendo la sofferenza, può correre il rischio di tutte le stoltezze e i delitti della libertà umana; un amore che, per essere amore, ha bisogno di provare a tutto il mondo che l’ amore è più forte della morte e degli inferi. (Cant. 8-6)
La povertà della croce manifesta la vera natura del Dio cristiano: il suo essere puro Amore. La sofferenza acquista in questo modo un senso non per se stessa, ma in quanto è atto d’ amore; il segno di un amore tanto grande da trasformare colui che ama in un essere-totalmente-per-gli-altri. Tuttavia il cammino dell’ uomo conserverà l’ asprezza della croce e la sofferenza continuerà in mille modi, frutto dell’ impotenza dell’ uomo e del suo potere, dal suo essere soggiogato dalla natura e dal dominio che su di essa esercita, dal disordine della convivenza e delle leggi nelle quali è costretta.
Una sofferenza che il Cristo non ama, ma che per amore accetta: l’ amore che, come per il Cristo, sa riscattarla al punto da uscirne egli stesso raffinato. Riscattata è la sofferenza quando si illumina di speranza. Ci apre una speranza che è al di là di ogni umana attesa.
Ma poiché sappiamo che “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio perchè chi crede abbia la vita eterna” , dobbiamo affermare: se la creazione è ciò che conosciamo con i suoi dolori di natura e di libertà infrante, è perchè per Dio stesso era assolutamente impossibile che la via fosse diversa!
Siccome tale via non poteva sembrare che terribile e scandalosa, ha pertanto deciso di camminarvi per primo per farci sapere lui stesso che il fondo del mistero non costituisce, da parte di Dio, un abbandono, ma piuttosto consiste in una sponsale unione d’more che si attua in una stupenda e divina comunione. Questo lo comprenderemo quando saremo in Dio, oggi lo possiamo solo credere.
I cristiani possono innalzare sul mondo, come motivo di speranza, la croce di Cristo solo quando e dopo aver riempito la storia dei segni del comandamento dell’ amore e presentarsi testimoni credibili della carità.