Guariento Mario | DOMENICA 02.08.20
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 02.08.20

03 Ago DOMENICA 02.08.20

Domenica XVIII
La compassione è vedere con gli occhi del cuore.

Le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

“Il Signore fu preso da grande compassione ” che il greco rende sempre con “ fu scosso nelle viscere”. La folla lo assedia, ma lui non ne approfitta per manipolarla, al contrario, mette in moto le sue energie interiori per cercare di rispondere ai bisogni di essa. Non chiede se sia ortodossa, se crede nel suo messaggio, se è pura o peccatrice: per lui il bisogno esistenziale è sufficiente perché guarisca «i loro malati».

In questo contesto di disperazione, Gesù scuote le sue viscere e fa una scelta di campo, la scelta preferenziale dei poveri, dei disperati, quelli che non fanno gola a nessuno perché costituiscono un impedimento alla civiltà di coloro si ritengono persone di successo.

La compassione è all’origine di ogni comportamento di Gesù. All’origine e sullo sfondo di tutto l’operato di Gesù, a ispirare e configurare tutta la sua vita, vi è l’amore compassionevole. La compassione non è per lui un’ulteriore virtù, un atteggiamento fra gli altri; egli vive stremato dalla misericordia: la sofferenza della gente gli dispiace, la fa sua  e la trasforma in principio interiore del suo operato. In contrapposizione a quanto si proclama nel codice di santità: «Siate santi perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo», Gesù introduce un’altra esigenza che trasforma in maniera radicale il modo di comprendere e vivere l’«imitazione» di Dio: «Siate compassionevoli, come è compassionevole il Padre vostro».
Gesù insegna che a qualificare tale santità non è la separazione da ciò che è impuro, bensì l’amore compassionevole. Dio è grande santo non perché vive separato dagli impuri, ma perché è compassionevole con tutti e «fa sorgere il suo sole su buoni e cattivi, e piovere su giusti e ingiusti.»
La compassione è il modo di essere di Dio, la prima cosa che sgorga dalle sue viscere di Padre. Dio è compassione e tenero amore per tutti, anche per gli impuri, per coloro che sono privi di onore, gli esclusi dal suo tempio. Per questo, la compassione è per Gesù il modo di imitare Dio e di essere santi come lui; guardare le persone con amore compassionevole significa somigliare a Dio. La compassione non sgorga in noi per generazione spontanea; esige una decisione e rimanda ad un cammino di acquisizione e di maturazione. Solo chi ha il coraggio di lottare per passare dalla condizione infantile della dipendenza e dell’instabilità, e quindi di una compassione solo embrionale, alla condizione adulta dell’indipendenza e della stabilità, e quindi di una tenerezza-compassione consapevole, è sulla buona strada per la sua piena attuazione. È all’interno di questo dinamismo di crescita che si colloca la valenza dell’evento di Gesù di Nazaret come accadimento di redenzione che fonda la possibilità di realizzare il desiderio di tenerezza-compassione a cui tende tutto il nostro essere. La compassione, correttamente intesa, nasce dalla consapevolezza di una Presenza Divina che ci sostiene ad ogni istante e ci consente di superare i nostri limiti, timori e insufficienze, conducendoci a divenire a nostra volta esseri-di-compassione nell’incontro con gli altri. In Gesù di Nazaret, la Tenerezza-compassione si è fatta accadimento incarnato nel bel mezzo della nostra esistenza. Il contenuto della compassione non poteva essere illustrato in termini più suggestivi. «La forza dell’umile amore», intendendo con questa dizione la concreta disponibilità ad accettare i propri limiti, facendosi teneri con se stessi, e la concreta disponibilità ad accettare i limiti degli altri, facendosi teneri con loro. Una disponibilità che manifesta l’amore, e lo crea. È questo un contenuto che va posto chiaramente in luce. Parlare di compassione è parlare della forza di un amore dato, ricevuto e condiviso che impegna tutta la persona, in una percezione amabile dell’altro.
Gesù non vive voltando le spalle alla gente, chiuso nelle sue occupazioni religiose e indifferente al dolore di quel popolo. Vede la folla, prova compassione e guarisce i malati. La sua esperienza di Dio lo fa vivere alleviando la sofferenza e saziando la fame di quelle persone povere. Il tempo passa e Gesù è ancora impegnato nelle guarigioni. I discepoli lo interrompono con una proposta: «È molto tardi; è meglio “congedare” la folla, perché ciascuno si “compri” qualcosa da mangiare».
Gesù risponde loro con un ordine perentorio: «Voi stessi date loro da mangiare. I discepoli continuano a essere scettici. Tra la gente si trovano solo cinque pani e due pesci. Per Gesù è sufficiente: se mettiamo in comune quello che abbiamo, si può saziare la fame di tutti; addirittura possono «avanzare» dodici ceste di pane. Questa è la sua alternativa: una società più umana, capace di condividere il pane con gli affamati, avrà mezzi sufficienti per tutti.
Se viviamo voltando le spalle agli affamati del mondo, perdiamo la nostra identità cristiana; non siamo fedeli a Gesù: ai nostri pasti eucaristici manca la sua sensibilità e il suo orizzonte, manca la sua compassione.
La prima cosa è quella di lasciarci coinvolgere sempre più dalla sofferenza di coloro che non sanno cosa significa vivere con pane e dignità. Ma non basta, occorre impegnarci in piccole iniziative, concrete, modeste, parziali, che insegnano a condividere e ci identificano di più con lo stile di Gesù.
Per il cristiano, la fraternità non è un’esigenza come le altre. E l’unico modo di costruire tra gli uomini il regno del Padre. Questa fraternità può essere fraintesa. Troppo spesso la confondiamo con un egoismo laborioso che sa comportarsi molto decentemente.
Pensiamo di amare il prossimo solo perché non gli facciamo nulla di particolarmente cattivo, anche se poi viviamo con un orizzonte meschino ed egoista, disinteressandoci di tutti, mossi unicamente dai nostri propri interessi.