20 Lug DOMENICA 19.07.20
Matteo 13, 24-43
Oggi, la liturgia ci propone la meditazione sulle tre parabole: il grano e la zizzania , il granello di senapa e il lievito nella pasta.
Matteo intende presentare Gesù come nuovo Mosè che guida il suo popolo verso la nuova terra promessa che non è più una terra materiale, intesa come nazione, ma una realtà in parte immateriale perché ha un orizzonte spirituale che riguarda l’intera storia: il regno di Dio. Esso non si esaurisce in una dimensione scatologica, come di solito è interpretato, ma nel pensiero e nel cuore di Gesù, il regno di Dio è un metodo nuovo di vita e di relazioni tra singoli e tra popoli per raccogliere tutti i figli suoi, senza esclusione alcuna in un’unica umanità, un unico popolo di Dio. La moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua», attraverso il regno di Dio finalmente realizza la visione del progetto di Isaia: Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti.
Il regno di Dio è il cuore della proposta evangelica; esso consiste nel progetto di rendere spirituale la natura umana che, se lasciata al suo istinto, è sopraffazione, violenza, aggressione, sopruso del forte contro il debole, egoismo narcisista contro la vocazione «politica», comunitaria, umana della Storia. Gesù non ci indica una mèta oltre la Storia, non progetta il superamento dell’umanità, ma «porta a compimento la Toràh» che aveva lo scopo di formare e fondare Israele come popolo di Dio.
Inizia così la misura tra il tempo della storia e l’orizzonte finale che abbraccia anche il nostro tempo e quindi la nostra responsabilità. Ciascuno di noi in quanto parte di una comunità pellegrina verso la pienezza del regno deve sentirsi responsabile di tutto ciò che accade e che può non accadere per le nostre paure, i nostri ritardi, silenzi, omissioni, complicità. La parabola del grano e della zizzania lasciate crescere fino alla mietitura, ci informa che Dio concede un supplemento di tempo per dare una nuova occasione all’umanità e a noi di conoscerlo: chi ha fretta di condannare il mondo non vive secondo la logica di Dio che non è venuto «per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Il regno di Dio non è la descrizione astratta di un mondo misterioso di cui nulla sappiamo: è un’espressione semitica per dire che Dio è presente in mezzo a noi. Gli Ebrei dell’esodo la chiamavano la Dimora, la Presenza che si posava sulla tenda dove era custodita l’Arca dell’Alleanza, sacramento visibile della vicinanza di Dio in mezzo al suo popolo che guidava camminando alla sua testa. In cammino verso il compimento della storia, dovremmo saper vedere il «regno di Dio» reso visibile nell’azione dello Spirito Santo che si lascia intravedere nella nostra vita, nelle nostre scelte, nel nostro stile di vita: in una parola nella nostra credibilità. Dio, infatti, è credibile, se noi che siamo i suoi testimoni, siamo credibili. Il regno di Dio è semplice come un bambino perché Dio, che nessuno vede, è reso visibile da coloro che dicono di credere in lui.
Dio nessuno lo può imprigionare nelle proprie visioni anguste e nella propria religione, come anche nessuno può insegnargli il suo «mestiere di Dio» perché egli lo fa benissimo da solo, anzi lo fa «da Dio». Il quale Dio non può smentire se stesso per accontentare un gruppo di fanatici che pensano sempre di avere ragione, perché credono intimamente che se Dio esiste non può non pensare come loro. Costoro, come avviene spesso tra le persone religiose che credono di essere gli unici buoni, mentre gli altri sono tutti cattivi, vorrebbero che Dio facesse piazza pulita di tutti, lasciando solo loro, la crema della religione.
A fare giustizia di codesto modo di pensare interviene il vangelo di oggi, perché nessuna religione può mai possedere Dio; ciò nonostante tutte le religioni ci provano e si accreditano come proprietarie esclusive di Dio, arrivando fino alle guerre di religione che sono l’assurdo di ogni ignominia. C’è sempre un Giona nascosto dentro ciascuno di noi, che non vuole la conversione di Ninive. Dio, per nostra fortuna, si prende tutto il tempo necessario e non ha fretta perché egli si adatta sempre al passo di chiunque lo cerca con tutto il cuore: come i contadini aspetta, aspetta in silenzio, aspetta fiducioso perché ha stima dei suoi figli e sa che prima o poi ritorneranno a lui.
Se non sappiamo pregare non possiamo vedere la trasparenza dello Spirito, perché restiamo opachi, bui e chiusi nel nostro gretto mondo. Pregare è illimpidirsi lo sguardo per imparare a vedere le cose dal punto di vista di Dio e a vivere la Storia con lo stile di Gesù, l’unico Dio che è sempre più grande del nostro peccato. Pregare è imparare il metodo di Dio che positivamente si chiama «amore». Questo è il Regno di Dio che si traduce in attenzione ai propri simili, in condivisione, in impegno di giustizia e di verità che il vangelo odierno illustra con tre parabole. Noi ci scandalizziamo per il male che cresce e si sviluppa insieme al bene, spesso offuscando questo e coprendo quello. Se siamo onesti dobbiamo essere coscienti che dentro di noi portiamo il seme dell’uno e dell’altro. Spetta a noi impegnarci fino in fondo per cambiare il mondo e la Chiesa perché risplendano la Giustizia e il Vangelo, ma solo a Dio spetta il diritto della mietitura finale: è compito suo alla fine della storia separare il grano dalla zizzania. Noi siamo sempre attenti al negativo della vita, lasciamoci affascinare da sogni pregnanti di vita, guardiamo a quello che fa crescere, che apre alla speranza di una umanità più umana. La zizania non è il male ma le nostre immaturità che ci impediscono di ossigenare il cuore con l’amore, la tenerezza, la misericordia. Il male è normale nella esperienza della vita, né è possibile definire il confine tra il bene e il male ma con noi c’è il seminatore che veglia, custodisce e cura il suo campo.