25 Mag SABATO 23.05.2020
Giovanni 16, 24-28
“Allora potrete pregare nel mio nome e non ci sarà bisogno che io preghi il Padre per voi: il Padre stesso, infatti, vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che provengo dal Padre. Ero col Padre e di là sono venuto nel mondo. Ora lascio il mondo, e torno al Padre”.
In un periodo di secolarizzazione e di secolarismo la preghiera non è fuori luogo, ma ha il suo posto nella vita di fede, anzi, come afferma D. Bonhoeffer, la comunità dei credenti deve riprendere costantemente il pregare per assicurarsi la forza per vivere nella secolarità secondo la sapienza della Parola. La preghiera conduce alla profonda radice del nostro essere, attiva il trovarsi dell’uomo davanti a Dio, rendendo più distinto il suo volto; L’esperienza dello stare in relazione con Dio porta anche alla passività, nella quale prende forma la disponibilità gratuita e si esprimono il rispetto e il pudore. Si giunge così alla «preghiera di quiete », l’esperienza orante che si dispiega come un «fare tutto senza esercitare alcuna attività ». Non è una forma di inazione, ma un modo particolare di agire: è una disponibilità totale all’azione di Dio, che è come il fluire dell’acqua del fiume, mentre noi siamo l’alveo . La condizione di quiete rende autentica la preghiera di domanda perché non annulla il chiedere, ma gli aggiunge l’affidamento nel rimettersi alla volontà di Dio, escludendo di farne una imposizione pressante. La delusione di chi non riceve ciò che chiede è cosa umanissima, ma è anche il segno del fatto che non si è entrati totalmente nel «gioco» della preghiera, la cui regola principe è la gratuità, perché la preghiera è un rapporto fra due che si amano.
Con questa ottica ci poniamo davanti al testo evangelico che parla della preghiera di domanda.
In ogni desiderio si esprime l’infinito desiderio di bene e di felicità, in noi essenziale, per il quale noi cerchiamo quella nostra profonda autenticità, che si fa presente in ogni domanda. Dio esaudisce sempre questo desiderio e lo Spirito di Dio se lo appropria con amore e con verità, portandolo al suo grado sommo e vero.
Per questo osiamo dire che in ogni preghiera di domanda è presente l’abbandono a Dio: gli si chiede un bene specifico e particolare, forse con angoscia estrema, ma nella domanda è compresa e desiderata l’espansione-risoluzione integrale della nostra vita, fino alla vittoria sulla morte. Parlare in questa maniera nasce da uno sguardo semplice, da una frequentazione con il Signore che prende il nostro cuore e lo trasfigura, gli cambia la prospettiva dalla quale guardare la vita.
Esiste un principio fondamentale: È il cuore che prega. Se esso è lontano da Dio, l’espressione della preghiera è vana. Naturalmente non si intende parlare di sentimento: infatti la preghiera del cuore non è un’orazione sentimentale. Il cuore è la dimora dove io sto, dove abito. E il nostro centro nascosto…; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. E il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. E il luogo dell’incontro..
Il cuore è il centro affettivo della persona, il nostro io, colui che ama, sceglie chi amare e con intensità. Se, nella preghiera, Dio rimane a livello di sentimento o di intelletto, ma estraneo al cuore, di fatto è assente anche da tutta la nostra personalità, perché Cristo vive in noi, fondamentalmente, soltanto nella più profonda interiorità, per diventare azione, progetto teso alla realizzazione. «Bisogna discendere dal cervello al cuore» sostiene Teofano il Recluso. La preghiera dunque è l’incontro tra la nostra persona e il Signore, nella verità del nostro essere.
Se, quindi, la maggior parte delle preghiere è finalizzata al conseguimento di grazie e miracoli, ma non al proposito di amare Dio e di compiere la sua volontà, si tratta semplicemente di vuote formule, prive di consistenza, molto simili a riti magici. In queste condizioni l’incontro con Dio non suscita nessuna gioia, anzi, spesso, accresce in noi preoccupazione e disagio, senza mutare affatto la fisionomia della nostra vita.