Guariento Mario | LECTIO-MEDITAZIONE Giovanni 11,1-45
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
guarientomario, gauriento, don guariento, guariento mario, mario guariento, liturgia guariento
556
post-template-default,single,single-post,postid-556,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,vertical_menu_enabled,side_area_uncovered_from_content,qode-theme-ver-7.6.1,wpb-js-composer js-comp-ver-5.2.1,vc_responsive
 

LECTIO-MEDITAZIONE Giovanni 11,1-45

26 Mar LECTIO-MEDITAZIONE Giovanni 11,1-45

“Perché si muoia io non lo so. Sono però convinto che il senso della morte come quello della vita, dell’amicizia, della giustizia e quello supremo di Dio non si trovano in fondo ai nostri ragionamenti, ma sempre in fondo al nostro impegno”. (Don Tonino Bello)

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è sorprendente. Da una parte, Gesù non viene mai presentato in modo così umano, fragile e intimo come in questo momento in cui gli muore uno dei suoi migliori amici. D’altra parte, mai veniamo invitati in modo tanto diretto a credere nel suo potere salvifico: «lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà … Credi questo?». Sperare. Il racconto di Giovanni non ha come obiettivo solo la narrazione della risurrezione di Lazzaro, ma soprattutto quello di far sorgere la fede, affinché crediamo che la risurrezione non è un fatto lontano che avverrà alla fine del mondo, e «vediamo» fin da ora che Dio sta infondendo vita a coloro che noi abbiamo sepolto.

Morire non significa perdersi nel vuoto, lontano dal Creatore, vuol dire invece entrare

nella salvezza di Dio, condividerne la vita eterna, vivere trasformati dal suo amore insondabile. I nostri defunti non sono morti: vivono la pienezza di Dio, che riempie ogni cosa. Con la morte siamo stati privati della loro presenza fisica; essi, però, dato che ora vivono in Dio, sono entrati in forma più reale nella nostra esistenza. Non possiamo godere del loro sguardo o ascoltarne la voce né sentirne l’abbraccio, ma possiamo vivere sapendo che ci amano più di prima, poiché ci amano da Dio.

La loro vita è incomparabilmente più intensa della nostra, la loro gioia non ha fine, la loro capacità di amare non conosce limiti o frontiere. Non vivono separati da noi, ma più interiormente che mai al nostro essere. La loro presenza trasfigurata e il loro affetto ci accompagnano costantemente. Non è una devota finzione vivere un rapporto personale con i nostri esseri cari che già vivono in Dio. Possiamo camminare circondati dalla loro presenza, sentirci accompagnati dal loro amore, godere della loro felicità, contare sul loro affetto e sostegno, addirittura comunicare con loro in silenzio o a parole, con quel linguaggio non sempre facile, ma profondo e viscerale, che è il linguaggio della fede. I nostri defunti non vivono più tra noi, ma non li abbiamo perduti, non sono svaniti nel nulla. Lì possiamo amare più di prima, poiché vivono in Dio. È Gesù il sostegno della nostra fede: «lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà». Un giorno, tutti insieme, risusciteremo con Cristo per sempre.

«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore, vivrà; Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» . Barth afferma: « L’uomo in quanto tale non ha alcun “aldilà”, non ha bisogno di averne, perché Dio è il suo “aldilà”. Dio, il partner dell’alleanza, il Salvatore, è stato ed è il suo vis-à-vis fedele già durante la sua vita, e lo sarà in maniera definitiva, esclusiva e totale alla sua morte: questo è l”’aldilà” dell’uomo. In una parola, sa che nella totalità della sua esistenza presente, accanto alla quale e dopo la quale non ne ha altre, egli appartiene già a Dio; vive nella certezza riconoscente ed esigente della presenza di Dio che, poiché è il suo giudice misericordioso e il suo Salvatore che lo libera dalla morte, è lui stesso il suo vero “aldilà”».
M.
Tillard, commentando e approfondendo il testo di Barth, dice: Il contenuto di questa “vita eterna” è la sua vita di quaggiù ma in quanto portata da Dio stesso e presente in Dio stesso: un Dio senza tempo né luogo. La vita eterna è la comunione della nostra finitezza e della nostra povertà con l’infinitezza e la misericordia infinita del Dio e Padre di Gesù. Essere nel cuore di Dio significa essere alla sorgente stessa di ogni esistenza e di ogni vita. Questa presenza alla sorgente è nascosta nel corso di questa vita; tuttavia questa vita esiste solo perché essa è a questa sorgente, nell’eterno presente di Dio. La vita eterna nella quale sfocia la morte è come un tuffo al di fuori del tempo e dello spazio fino a questo eterno presente di Dio. »

«ABITARE» LA MORTE CON CRISTO RISORTO

Condotti da Marta e Maria nella loro relazione con il Maestro dinanzi al fratello morto e richiamato in vita, anche noi possiamo lasciarci interpellare dalla morte. Per Lazzaro, questa non è stata un evento definitivo, «la fine», ma un inizio, la promessa della gloria nella glorificazione del Figlio di Dio.

A noi la morte fa paura, il suo avvicinarsi è il tormento dell’esistenza. Il pensiero di essa oscura e, quasi, getta nel nulla la vita. Il suo «potere» sulla vita è prepotente: «La vita divampa non soltanto malgrado la morte, ma anche perché votata alla morte»; dispiega tutta la sua potenza solo grazie all’intuizione della morte. La morte è la nostra intimità più intima».

La limitazione del tempo dell’esistenza può essere l’occasione per dare alle proprie azioni una particolare profondità e indagare con coraggio il vero senso della vita. Da un tale processo nasce la «saggezza» che è come la «gloria dell’uomo». Ecco come la descrive ancora Jankélévitch:

«L’uomo sapiente e profondo è dotato di un talento speciale che gli permette di vedere all’interno delle cose, di contemplare la bellezza invisibile, di ascoltare la voce del silenzio e, attraverso questa voce, l’altra musica, la musica non udibile che si ascolta con l’orecchio dell’anima, di percepire insomma la verità interiore; l’uomo carnale pensa solo a ciò che vede. Ma l’uomo profondo, vedendo i presenti pensa agli assenti, pensa a ciò che non vede e che non è là, e che forse non esiste proprio; vede, dunque, a suo modo, ciò che non vede, vede l’invisibile con gli occhi dello spirito. Vi è qualcos’altro oltre all’attualità piatta di queste apparenze; c’è una dimensione di profondità che l’uomo sensuale e frivolo prende per un miraggio, e della quale invece l’uomo serio tiene conto. Il concepito al di là del percepito».

Dare valore alla morte significa, allora, accedere a queste voci misteriose che sono celate nella vita medesima, scorgere, nella finitezza del tempo e delle cose, la gloria del Risorto. È necessario convincerci che, quando la fede cristiana afferma che Gesù ha salvato l’uomo attraverso il mistero della sua morte e che noi siamo battezzati nella sua morte, non siamo rimandati, in primo luogo, alla sofferenza della croce, ma alla profondità misteriosa della «Morte». 

La vita cristiana è tale solo in quanto votata alla morte con Cristo. «La morte con Cristo non è primariamente la ricompensa o il frutto della lotta contro il peccato e la Morte, essa ne è, al contrario, la spiegazione e la molla. E il battesimo che innesta nella vita umana questa misteriosa efficacia della morte di Cristo».

Vivere secondo la logica del mondo significa vivere come se non si dovesse morire, cioè senza prendere abbastanza sul serio la morte; oppure vivere come se la vita non fosse che in funzione della morte. Vivere secondo la logica del vangelo, vivere «con» Cristo significa, al contrario, vivere in funzione della risurrezione, dando il posto che loro compete alla malattia, alla sofferenza e alla morte, in vista della gloria di Dio, creatore e salvatore dei vivi e dei morti.

La morte non è niente. 
Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto. 
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro
lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato,
che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente,
solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.