Guariento Mario | IL POVERO SACRAMENTO DI DIO Matteo 25,31-46
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IL POVERO SACRAMENTO DI DIO Matteo 25,31-46

23 Nov IL POVERO SACRAMENTO DI DIO Matteo 25,31-46

Gesù vive rivolto a coloro che vede bisognosi di aiuto. È incapace di passare al largo. Nessuna sofferenza gli è estranea. Si identifica con i più piccoli e derelitti e fa per loro tutto ciò che può. Gesù presenta la compassione come il criterio ultimo e decisivo che giudicherà le nostre vite e la nostra identificazione con lui. Non ci dice nulla delle diverse religioni e culti. Parla di qualcosa di molto umano e che tutti comprendono: cosa abbiamo fatto a quelli che hanno vissuto soffrendo vicino a noi?

La scena ci permette di comprendere la «rivoluzione» che Gesù ha introdotto nell’orientamento del mondo.

Ciò che deciderà la sorte finale non è la religione in cui uno è vissuto, nè la fede che ha confessato durante la sua vita. Ciò che è decisivo è vivere con compassione aiutando chi soffre e ha bisogno del nostro aiuto. Quello che si fa alle persone affamate, agli immigrati indifesi, ai malati derelitti o ai carcerati dimenticati da tutti, lo si sta facendo a Dio stesso. La religione più gradita al Signore è la carità.

Ciò che è decisivo nella vita non è quello che diciamo o pensiamo, quello che crediamo o scriviamo. Non bastano neanche i bei sentimenti né le proteste sterili. L’importante è aiutare chi ha bisogno di noi.

La parabola di Gesù ci obbliga a porci delle domande molto concrete: sto facendo qualcosa per qualcuno? A quali persone posso prestare aiuto? Che cosa faccio perché regni un po’ più di giustizia, solidarietà e amicizia tra noi? Che cosa potrei fare di più

Noi abbiamo voluto risolvere tutto in un modo molto semplice: donando denaro, facendo la nostra elemosina e contribuendo alle collette. Ma le cose non sono tanto semplici: “Le esigenze dell’amore che sono qui richieste non si soddisfano con il sacramento del denaro, per la semplice ragione che il modo stesso con cui ci si procura questo denaro porta a incrementare quella stessa povertà a cui con esso si vuole porre rimedio”. Johann Baptist Metz.

Anche oggi ci si chiede di dare un bicchiere di acqua all’assetato che incontriamo, ma ci si chiede anche di trasformare la nostra società al servizio dei più bisognosi e diseredati.

Davanti alle ingiustizie concrete della nostra società, un cristiano non può pretendere di avere una neutralità ingenua, dicendo che non si vuole «mettere in politica».

L’uomo credente che contempla Cristo nudo, umile, povero, si lascia da Lui interpellare e guidare continuamente per imitarlo. Cristo nella sua umiltà, mitezza e povertà apre il cammino di una vera fraternità. Una fraternità in cui si affermano sempre più accoglienza, stima, servizio, benevolenza… ; uno stile di vita in cui non si prevarica, ma si prendono le distanze da ogni ricerca di potere, per non lasciare che prevalga l’orgoglio, l’arroganza, la violenza; la vita fraterna si pone come segno di credibilità in quanto si cerca sempre ciò che unisce non ciò che divide, non solo all’interno della vita della comunità, ma anche all’esterno fra gli uomini di buona volontà.

La povertà come verità dell’uomo non è una chiusura nella propria indigenza, ma si sviluppa come vera attenzione verso il più bisognoso, verso l’ultimo, verso chi sta più indietro, mettendosi all’ultimo posto, facendosi povero con e per i poveri. La responsabilità dischiude l’orizzonte della nostra esistenza manifestandosi anche come attenzione all’altro e agli altri di oggi, ma anche di domani. Sobrietà, magnanimità, lungimiranza sono gli atteggiamenti per un comportamento responsabile. La capacità di fermarsi, di chinarsi, di assumere, di farsi carico, di pagare di persona. Il credente è capace di creare uno stile di responsabilità che vince l’indifferenza. La responsabilita crea ed educa alla responsabilità, fa persone capaci di donarsi.

Mai chiusura in se stessi alla ricerca di difese, privilegi o potere. La responsabilita rivela sempre lo stile del dono di sé.