Guariento Mario | LECTIO MARCO 4,26-34: AMORE, SPERANZA E ABBANDONO
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LECTIO MARCO 4,26-34: AMORE, SPERANZA E ABBANDONO

07 Set LECTIO MARCO 4,26-34: AMORE, SPERANZA E ABBANDONO

LECTIO  MARCO 4,26-34.
Amore, speranza e abbandono

Il brano evangelico di questa domenica è costituito da due parabole. La prima, quella del «seme» che germoglia e cresce da solo, è propria di Marco. La seconda è narrata anche da Matteo e Luca ma con minor ricchezza di particolari. Nella redazione di Marco, i due brevi racconti fanno parte di un discorso più ampio inglobante altre parabole. Il tema sviluppato è il regno di Dio. L’espressione è di origine veterotestamentaria e designa la signoria di Dio sull’universo e, in modo particolare, sul popolo di Israele che, a motivo dell’alleanza, è sua proprietà particolare: «Voi sarete per me mi regno di sacerdoti e una nazione santa».

La rivelazione veterotestamentaria annuncia e prepara il regno di Dio del quale lascia intravedere alcuni aspetti fondamentali. Esso esprime il particolare rapporto del popolo con Dio. Inoltre, la signoria di Dio è strettamente connessa con la felicità e il benessere di Israele. Per ultimo, il regno di Dio sarà instaurato dal Messia e abbraccerà tutte le nazioni. Un annuncio che rimane in parte velato e che nell’attesa dei giudei riveste una forte colorazione politica.

Gesù riprende il tema del regno di Dio e ne fa l’oggetto centrale della sua predicazione. Egli alza il velo sul mistero del regno e ne evidenzia la natura, le caratteristiche, le esigenze. Il regno di Dio è una realtà essenzialmente soprannaturale. La sua venuta annunciata da Gesù è confermata dai miracoli che egli compie: «Se io scaccerò i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto a voi il regno di Dio» (Mt 12,28). La sua instaurazione avviene nel momento in cui il Messia porta a compimento la propria missione. Inoltre, il regno di Dio apporta all’uomo il dono della salvezza, cioè la liberazione dal peccato, dal dominio di satana, nella partecipazione alla vita stessa di Dio.

• Il seme che cresce silenzioso, da solo ha bisogno di terra buona, ma vi è qualcuno invisibile che si prende cura di esso (di noi): siamo nelle abili mani di un Dio che ci trascende e che «lavora» per il bene della nostra vita senza che a volte possiamo o vogliamo rendercene conto. Questa trascendenza creativa e benevola di Dio è fondamentale per comprendere il vangelo.

• Il piccolo seme che diventa un grande albero . È piccolo, sembra invisibile nella terra il buon seme del regno gettato da Gesù, esso è ricevuto (dopo la morte di Gesù) dai credenti. È minuto e non sembra destinato a portare frutto in un mondo saturo di forti violenze e oppressioni. Eppure diventerà un albero grande, sarà fonte di vita per tutti i credenti. Per il vangelo è essenziale anche questa fede nel piccolo seme che un giorno dovrà riempire (trasformare) tutto.

Il questo discorso Gesù stesso è divenuto parabola. Certo, Gesù parla (si dona) a tutti noi. Soltanto quelli che lo accettano (i suoi discepoli), però, riescono a capirlo. Questi discepoli che ricevono l’insegnamento personificato di Gesù e in tal modo penetrano il senso delle parabole (di Gesù stesso) sono coloro che sono stati trasformati dal messaggio di pasqua.

Il regno di Dio passa attraverso una fase di crescita nella storia degli uomini e coinvolge l’azione della chiesa. La sua manifestazione piena è però rimandata oltre il tempo quando il Cristo glorioso vincer definitivamente la morte e «con- segnerà il regno a Dio Padre» (1Cor 15,24).

Allora la signoria di Dio sarà definitiva e universale e gli uomini saranno pienamente ed eternamente salvi.

È opinione comune degli  studiosi che le parabole raccolte da Marco nel cap. 4 della sua narrazione evangelica siano da collocarsi in un momento di difficoltà del ministero di Gesù.

Inizialmente la sua parola e i suoi miracoli suscitano entusiasmo, le folle si accalcano attorno alla sua persona attratte dall’autorevolezza del suo insegnamento e colpite dalla potenza del suo operare. Poi, poco per volta, l’entusiasmo va calando, le folle si diradano e attorno a Gesù rimane il ristretto gruppo dei discepoli. Diverse affermazioni della narrazione di Marco lasciano intuire la situazione di crisi che si verifica nel ministero di Gesù in Galilea. Dapprima egli ha difficoltà di rapporti con i nazaretani che si scandalizzano di lui (Mc 6,3). In seguito l’incomprensione si estende
provocando la sua reazione: «Gemendo nel suo spirito disse:

“Perché questa generazione chiede un segno? In verità. vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”. E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all’altra sponda» (Mc 8,12-13).

Gli stessi discepoli, pur vivendo con lui e usufruendo di un insegnamento più approfondito, non lo capiscono a fondo. La loro cecità e durezza di cuore sorprendono Gesù: «Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? Non capite ancora?» (Mc 8,17-21).

E logico ritenere che questa situazione di crisi abbia ripercussioni negative sull’animo dei discepoli ancora insicuri nella loro adesione al Maestro. Gesù va loro incontro e si premura di illuminare i loro dubbi e di confortare il loro spirito attraverso le parabole che Marco ha raccolto nel cap. 4 del suo vangelo.

Quella del «seme» che cresce da solo è portatrice di un messaggio di fiducia, di speranza e di abbandono al Padre. Ai discepoli, preoccupati perché la parola di Gesù è respinta, egli dice che occorre avere pazienza. A suo tempo, essa porterà frutto. La resistenza degli uomini e la loro accoglienza superficiale possono ostacolare il cammino della Parola, ma non potranno vanificarne la fecondità. I discepoli non debbono perciò cedere alla tentazione dell’ansietà e della paura.

E indubbio che nel conservare e trasmettere le parole di Gesù l’attenzione dell’evangelista è rivolta alla chiesa. I vangeli sono nati nella chiesa e per la chiesa. Marco vuole ricordare alla comunità ecclesiale, preoccupata per il rifiuto e per l’indifferenza con cui gli uomini accolgono la sua missione, che l’annuncio della Parola non è mai senza frutto. Questa va proclamata con fiducia, coraggio e perseveranza; poi essa prosegue il suo corso e, nel rispetto dei tempi di Dio che sono diversi da quelli degli uomini, conseguirà risultati imprevisti e insperati.

La parabola del granello di senape (vv. 30-32) esprime anch’essa un messaggio di fiducia e di speranza. I discepoli sono preoccupati per l’inizio modesto del regno di Dio e nel segreto del loro cuore si domandano quali saranno i suoi sviluppi. Nelle loro considerazioni umane essi vedono affacciarsi l’ombra del fallimento. Gesù li rassicura affermando che il regno di Dio comincia con poco, ma poi si svilupperà gradualmente raggiungendo la piena realizzazione. In sostanza, egli chiede ai discepoli un’assoluta fiducia nella sua persona e un abbandono incondizionato alla sua parola.

Nel medesimo tempo, Gesù sollecita i suoi ad una comprensione più profonda della realtà che egli annuncia. Il regno di Dio, cioè l’opera salvifica degli uomini, è essenzialmente soprannaturale e quindi sfugge ai criteri di valutazione degli uomini. Il suo cammino è segnato da paradossi. La parabola ne evidenzia almeno uno: l’unione tra piccolezza e grandezza. Il regno di Dio, infatti, si realizza dentro la storia degli uomini e quindi passa attraverso le svariate situazioni della vita umana.

Esso subisce violenza, viene contrastato, inoltre la sua realizzazione si opera attraverso la limitata azione della chiesa, la quale conosce l’amara esperienza del fallimento. Il regno di Dio presenta quindi un volto di debolezza. Nel medesimo tempo esso è potenza di Dio e quindi ha una sua forza intrinseca che gli dà di proseguire il suo cammino verso la piena realizzazione.

Questa duplice nota distintiva del regno di Dio è ricca di significato per i discepoli di Gesù. Il fatto che l’opera salvifica del Signore sia presente e si sviluppi dentro la storia degli uomini, sollecita quanti hanno il dono e la responsabilità della fede ad essere attenti ad ogni occasione che si offre, anche se umile e modesta. Occorre una grande capacità di discernimento per intuire le disponibilità nascoste, per leggere il positivo che è nelle situazioni umane incontrate nel cammino di ogni giorno. Infine, la convinzione che il regno di Dio è opera del Signore induce ad essere sereni e fiduciosi anche quando si avrebbero tutte le ragioni per cedere alla tentazione dello scoraggiamento.

Dio chiede di mettere in atto tutte le. energie di natura e di grazia di cui si può disporre; egli dal poco che possiamo offrire saprà trarre il molto secondo i suoi imperscrutablli disegni.

L’agire di Dio ha del paradossale ed è forse questa la ragione per cui, come dice un noto teologo francese, il paradosso è ovunque nella realtà, prima di essere nel pensiero. Ovunque si trova di casa. Rinasce sempre (De Lunac, Paradossi e nuovi paradossi,  Milano 1989, p.43).                                                                                                                                                                                              È un fatto paradossale che Dio pensi e realizzi la creazione come effusione di sé, è ancora più paradossale (e di conseguenza «scandaloso per l’uomo di tutti i tempi) che egli assuma le fattezze di un uomo concreto — Gesù di Nazaret — e faccia scaturire la vita e la salvezza dell’uomo da un avvenimento di morte, quale la crocifissione; è infine oltremodo paradossale che questo agire di Dio con l’uomo continui nel tempo attraverso la piccolezza e la debolezza di uomini chiamati ad essere sua «proprietà, suo «corpo, servendosi dei quali il regno di Dio avanza irrevocabilmente nella storia fino al momento finale.

Vengono alla mente le commoventi parole di s. Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio » (1Cor 1,27-29). “Perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio…” questo è il valore ultimo e il significato profondo della logica di Dio; nessuno può accampare pretese o rivendicazioni perché la forza, la potenza, la consistenza vengono da un Altro ed è un Altro.

Così avviene per la crescita del regno, cioè del diffondersi della signorìa di Cristo tanto all’interno della nostra vita come nel mondo intero: esso cresce per virtù propria, per energia propria, anche se, come ci ricorda s. Ambrogio, esso chiede un terreno disponibile per essere seminato:

Semina Cristo nel tuo orto — l’orto è un luogo pieno di fiori e di frutti diversi — in modo che fiorisca la bellezza della tua opera e profumi l’odore vario delle diverse virtù. Vi sia Cristo là dove vi è ogni frutto. Tu semina il Signore Gesù: egli è un granello quando viene arrestato, un albero quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il inondo. E un granello quando viene sepolto in terra ma è un albero quando si eleva al cielo (Exp. in Luc., 7,176-180: Città Nuova).