Guariento Mario | La festa della Pentecoste. Giovanni 15,26-27;16,12-15. 
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La festa della Pentecoste. Giovanni 15,26-27;16,12-15. 

27 Mag La festa della Pentecoste. Giovanni 15,26-27;16,12-15. 

Lo Spirito Santo ci chiama oggi a verificare qual è il nostro cristianesimo. Non è certo un cristianesimo di appartenenza. È un cristianesimo che ha dalla sua parte lo Spirito che lo anima, vivifica e rende presente nella storia in modo discreto. Una vita ordinaria che nulla mette sotto i riflettori, umile poiché radicata in un’esistenza vissuta sotto le specie del dono e della gratuità. Oggi viviamo nel tempo nel quali tutti dobbiamo imparare a gustare la presenza potente e appagante dello Spirito Santo in noi. Forse abbiamo sostituito al cristianesimo come esperienza della Via un cristianesimo di appartenenza che vende delle certezze e della sicurezza, mentre un cristianesimo di esperienza non smette mai di invitare al rischio della fede. Ora, l’esperienza feriale del cristianesimo, che abbraccia senza clamore il rischio della fede nel quotidiano, aiuta i credenti a scoprire l’effettiva realtà del battesimo nella loro esistenza e permette loro di trovare vie e modi di preghiera personale e domestica: un’esperienza che è al cuore stesso del cristianesimo. Perché il cristianesimo non è una religione, ma qualcosa che si reinventa continuamente nella vita, cioè l’esperienza di una sete che ogni volta deve essere placata in modo nuovo dalla relazione vivente con Dio. La proposta cristiana, infatti, radicata nell’incarnazione, vivificata dallo Spirito considera la vita stessa un luogo della rivelazione di Dio. Sulle strade che percorriamo verso le nostre Emmaus, infatti, Dio si affianca spesso nelle vesti di ciò che appare estraneo, forestiero e sconosciuto, nelle esperienze più profondamente umane e nella monotonia del quotidiano. Dio scrive la sua storia per noi nelle relazioni che viviamo e ci parla nei volti che incontriamo. Non è l’inventiva sulle cose da fare che «salva», quand’anche fosse attraente e creativa; piuttosto, c’è da compiere un lavoro di nuova evangelizzazione alla riscoperta del valore spirituale del quotidiano, della relazione tra fede e vita e del l’essere in comunione con l’io profondo dove abita e opera lo Spirito. A fronte di un’insistenza su aspetti disciplinari e organizzativi, forse la Chiesa ha trascurato di formare la coscienza dei credenti al «tu per tu» con Dio nelle esperienze di ogni giorno. Ci si è concentrati sugli eventi espliciti, dimenticando la traccia del passaggio dello Spirito nel silenzio dei giorni, nella solitudine del cuore, nel grido strozzato del pianto, nel trasalimento di gioia per una buona notizia e in tutte quelle esperienze di amore, di fedeltà, di solidarietà e di impegno che, senza essere esplicitamente connotate di religiosità, sono state pur sempre esperienze mistiche, di incontro col divino. Karl Rahner ha descritto magnificamente questa silente esperienza dello Spirito Santo attraverso cui scopriamo la presenza di Dio, che si fa strada nel tramonto apparente delle cose e nel silenzio mortale dei nostri abissi; si tratta di una vera e propria esperienza di Dio nascosta nelle realtà concrete di ogni giorno, come una luce diffusa apparentemente senza volto, che emerge dallo sfaldarsi del quotidiano, quando le luci che illuminano la nostra piccola isola di vita si spengono. E’ la consapevolezza dell’esperienza dello Spirito Santo che nel il polverone del trambusto quotidiano» ci apre all’incontro con il volto di Cristo, ci fa sconfinare nell’adorazione del Dio dell’amore e ci rende fratelli dell’altro. Afferma Michael Paul Gallagher che lo Spirito si trova lì da sempre ad aiutare le persone a mettersi in contatto con la loro profonda, silenziosa esperienza di Dio e della carità verso il prossimo. Al di là e prima di un’appartenenza comunitaria, ciascuno di noi compie, anche anonimamente, un viaggio interiore della grazia che emerge attraverso una vera e propria iniziazione mistica  della vita quotidiana, perché le persone possano giungere alla consapevolezza della presenza di Dio nella loro esistenza; a questo si riferisce la famosa affermazione di Rahner sui cristiani del futuro, che «o saranno mistici o non saranno»: essa suggerisce che in clima complessivamente secolarizzato, la fede dovrà radicarsi nell’esperienza personale della grazia, della capacità di scoprire lo Spirito all’opera nella vita quotidiana di ognuno. Adriana Zarri parla di «una teologia impura, contaminata, compromessa col vivere», che aiuti a scoprire Dio «come un parente che parla con noi, e noi possiamo incontrare nelle sere, come i mitici due, nel giardino dell’Eden, nell’ora della brezza vespertina». La scoperta di questa amicizia parentale con Dio conduce alla considerazione che si vive la vita divina, vivendo con pienezza e nudità, la vita umana e che il mistero talora silenzioso e incomprensibile di Dio passa per le vie strette di quei «giorni feriali in cui non c’è niente da narrare e tutto da dire.