Guariento Mario | APOSTOLI MISSIONARI CON LO STILE DI MARIA
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APOSTOLI MISSIONARI CON LO STILE DI MARIA

14 Nov APOSTOLI MISSIONARI CON LO STILE DI MARIA

Invocazione

 

Vieni, o Spirito Santo,

e donami un cuore puro,

pronto ad amare Cristo Signore con la pienezza,

la profondità e la gioia che tu solo sai infondere.

Donami un cuore puro,

come quello d’un fanciullo,

che non conosca il male

se non per combatterlo e fuggirlo.

Vieni, o Spirito Santo,

e donami un cuore grande,

aperto alla tua parola ispiratrice,

e chiuso a ogni meschina ambizione.

Donami un cuore grande e forte

capace di amare i giovani,

deciso a sostenere per loro

ogni prova, noia e stanchezza,

ogni delusione e offesa.

Donami un cuore grande,

forte e costante fino al sacrificio, felice solo

di palpitare con il cuore di Cristo,

e di compiere umilmente, fedelmente

e coraggiosamente la volontà di Dio. Amen.

 

Costituzioni SDB art 92.

 

Maria, Madre di Dio, occupa un posto singolare nella storia della salvezza. Essa è modello di preghiera e di carità pastorale, maestra di sapienza e guida della nostra Famiglia. Contempliamo e imitiamo la sua fede, la sollecitudine per i bisognosi, la fedeltà nell’ora della croce e la gioia per le meraviglie operate dal Padre. Maria Immacolata e Ausiliatrice ci educa alla pienezza della donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio dei fratelli.

 

Costituzioni FMA art 4.

 

Maria Santissima è stata l’ ispiratrice del nostro Istituto e continua ad esserne la Maestra e la Madre. Siamo perciò “una Famiglia religiosa che è tutta di Maria”. Don Bosco ci ha volute “monumento vivo” della sua riconoscenza all’ Ausiliatrice  e ci chiede di essere il suo “grazie” prolungato nel tempo. Noi sentiamo Maria presente nella nostra vita e ci affidiamo totalmente a lei. Cerchiamo di fare nostro il suo atteggiamento di fede, di speranza, di carità e di perfetta unione con Cristo e di aprirci all’ umiltà gioiosa del “Magnificat” per essere come lei “ausiliatrici”  soprattutto fra le giovani.

 

«Serva del Signore» è il titolo col quale Maria stessa esprime il suo consenso all’angelo Gabriele, che le parla quale inviato di Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Luca 1, 38a). La vergine di Nazaret si dichiara «serva del Signore» in quanto desidera ardentemente “ascoltare-accogliere” la Parola di Dio, per “obbedire” alla sua volontà. Ella aspira a uscire da se stessa per immergersi totalmente nelle vie del Signore.

Maria tutto vive e tutta si dona a Dio e agli uomini nella totale carità e per questo diventa l’icona di come ogni apostolo missionario è chiamato a vivere il suo ministero pastorale.               

Il ministero pastorale è anzitutto un servizio d’amore: si accetta per amore e trova il suo nutrimento nell’amore. A questo proposito sono espliciti in un modo particolare S. Agostino e S. Giovanni Crisostomo. L’uno e l’altro, per esprimere questa profondissima ragione del ministero pastorale, si richiamano alle parole di Gesù a Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu? Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore» “. «Poteva dirgli — scrive S. Giovanni Crisostomo —: se mi ami, pratica i digiuni, dormi sulla nuda terra, passa le notti insonni, assumi la difesa degli oppressi, sii il padre degli orfani. Invece, lasciando da parte tutte queste cose, che dice? Pasci le mie pecore». La ragione è che l’ufficio pastorale è il grande segno dell’amore a Cristo.

Il ministero pastorale nasce dall’amore per Cristo e si manifesta nell’amore per il gregge di Cristo. Tra i molteplici e gravissimi doveri del pastore questo è il principale, questo è il supremo, radice e sintesi di tutti gli altri: amare il proprio gregge. Ci sembra qui di sentire  le parole di don Bosco: Da mihi animas coetera tolle! 

Dopo aver posto il principio generale, quello cioè del ministero come servizio d’amore, i Santi Padri si indugiano a descrivere le prerogative che deve possedere l’amore che serve Cristo e la Chiesa. Sono principalmente tre, sono le prerogative dell’amore di Maria, quell’amore che lei mostrò alle nozze di Cana, nella cura materna silenziosa, umile e nascosta per suo Figlio fino sulla croce. L’amore che ispira il servizio pastorale dev’essere disinteressato, umile e generoso. 

L’esempio di Maria tocca le radici del ministero sacerdotale e ne regola i sentimenti più profondi e più delicati. L’apostolo è partecipe dell’autorità di Cristo, è suo rappresentante in mezzo al popolo di Dio; ma egli non dev’essere un diaframma tra Cristo e i fedeli, bensì uno strumento che li porti a Lui, un operaio che stabilisca i contatti tra le anime e la fonte della grazia, una freccia che indichi la via. Perciò non dev’essere amante di sé, ma solo di Cristo. S. Agostino osserva: «Non siano dunque amanti di se stessi coloro che pascolano le pecore di Cristo, per non pascerle come proprie, ma come di Cristo. E non cerchino di trarre profitto da esse, come fanno gli amanti del denaro; né di dominarle come i vanagloriosi o vantarsi degli onori che da esse possono ottenere.»

Il servizio d’amore, oltre al disinteresse, deve avere un’altra prerogativa: dev’essere umile e perciò rispettoso. L’umiltà semplice e spontanea nasce dalla convinzione che siamo servi, che non diamo nulla di nostro al popolo di Dio; che, anzi, l’unica nostra ricchezza è quella di partecipare ai beni propri di tutto il popolo di Dio. L’apostolo è capo, ma è anche servo, anzi conservo; è maestro, ma anche discepolo, anzi condiscepolo; è superiore, ma anche suddito; suddito, insieme agli altri, dell’unico Padrone che è nel Cielo: «vi nutro col cibo di cui io stesso mi nutro; sono ministro, non il Padre di famiglia; e quel che vi porgo proviene dalla fonte di cui io stesso vivo, dal tesoro del Signore, dalla mensa di quel Padre di famiglia che per noi si è fatto povero, da ricco che era». S.Agostino Sermo 240. 

Oltre il disinteresse e l’umiltà, l’amore che ispira il servizio pastorale deve avere la prerogativa della dedizione assoluta, deve essere, cioè, forte e generoso fino alle conseguenze estreme, che sono: l’impiego totale delle proprie energie e, se occorre, l’accettazione intrepida e serena della morte.

Maria è la donna pienamente povera e docile davanti a Dio, non si attende nulla, nell’ordine meramente storico. La vera azione di attesa dello Spirito è creare il vuoto in Maria perché ella sia riempita della libertà di Dio. Per entrare in tale esperienza occorre essere persone che nel loro intimo vivono una situazione di radicale silenzio, aperte ad accogliere tutto ciò che verrà come pura grazia.
Questo aspetto della spiritualità di Maria è, a livello interiore, di tale ricchezza che, se anche solo ne avvertissimo alcune sfaccettature, godremmo di non attendere nulla e di non attenderci niente nel nostro ministero apostolico. Infatti una delle più pesanti schiavitù è costituita dalle nostre attese che ci fanno sprecare molte energie e corrodono la nostra vita.
Quali nervosismi interiori animano le nostre attività apostoliche, quali inutili consumi di serenità spirituale dobbiamo pagare, quando siamo dominati dai nostri progetti e pensieri! L’uomo dello Spirito è silenzio, ha abbandonato le attese e celebra nella serenità dello Spirito la propria libertà interiore. Maria nel silenzio e nella povertà di Nazareth è la donna che si fida del Dio fedele che in lei sta attendendo. Nel suo silenzio attende che Dio porti a compimento il Mistero che ha già seminato in lei.

La Madonna è presentata nel Vangelo come «Serva del Signore», è questa ultima affermazione della parola ispirata. Non è possibile per noi, oggi, determinare l’ampiezza, con cui la Madonna possa avere concepito la funzione di «Serva del Signore», al momento dell’annunciazione, della visitazione e sul Calvario.
Maria è la prima redenta, il primo membro della chiesa, associata alla persona e all’opera del Figlio con funzione di vera maternità.
In ogni apostolo trova il suo volto, la misura adeguata per accogliere Dio e il suo piano, che si traduce nel mettersi in «stato di servizio. Se le espressioni letterarie, che presentano Maria nella sua funzione di madre sono poche, hanno però un valore che potremmo definire sostanziale.
La Vergine accoglie la maternità divina, punto culminante della disponibilità umana alla storia della salvezza, proclamandosi «Serva del Signore».
La Vergine può consacrarsi totalmente all’opera e alla persona del Figlio, servendo il mistero della redenzione, con l’animo, le disposizioni, lo stato di ancella del Signore, cioè di «serva».
La parola di Dio presenta Cristo-salvatore, che si fa «povero» per «arricchire» gli uomini con la sua povertà (2Cor 8,9); si «annienta» nella forma di «schiavo» per far germogliare la «glorificazione» per tutti (Fil 2,6-11); ha «dovuto» imparare dall’esperienza del dolore, ha dovuto diventare in tutto simile ai suoi fratelli.
La lode e la devozione a Maria debbono plasmare l’apostolo in un impegno di povertà-servizio, affettiva ed effettiva, lottando efficacemente contro la ricchezza-potere e le sue strutture, che tradiscono l’amoroso disegno del Padre per tutti gli uomini. 

Si rimane subissati e stupefatti dall’umiltà infinita, dalla enorme maturità e naturalezza con cui Maria assume il « mistero » nel cuore di un’immensa solitudine. Maria, consapevole della gravità del momento e cosciente della portata della propria decisione, col cuore colmo di pace, sola, senza consultare nessuno, senza nessun appoggio umano, esce da se stessa, compie il gran salto, si fida, acconsente e… si dona.
Maria trascende, da sola, adulta nella fede, tutte le perplessità e tutti gli interrogativi e, piena di pace, umiltà e dolcezza, si fida e si dona. « Fiat! » Sì, Padre! 

Ecco quello che è chiamato ad essere ogni apostolo : donarsi senza aver alcun altro appoggio se non la fede e l’amore.
Ma proprio il rischio e la solitudine sotto la mano possente di Dio spalancano la fede che in lei si manifesta in modo incomparabile, sì che a ragione Maria rappresenta l’archetipo del credente e dell’apostolo.
Maria è povera pellegrina. Con il suo « avvenga di me… », entra nella grande avventura della fede adulta. Facendo quel passo, la Vergine affondò la nave e si mise nell’impossibilità di tornare indietro. Maria appartiene alla stirpe di Abramo, ma è molto più grande di Abramo sul monte Moria. È la forte discendente di una razza di nomadi che si sentono liberi quando scavalcano il senso comune, le cose normali e i ragionamenti umani, lanciandosi nel mistero insondabile e affascinante Dio e ripetendo senza stancarsi: Amen.
Con questa dichiarazione Maria si offre in possesso libero e disponibile. E dimostra un abbandono audace e temerario nelle mani del Padre, accettando tutti i rischi, sottomettendosi a tutti gli eventi e congiunture che il futuro potrà arrecare.
Nel suo fiat è racchiusa e vi palpita una consacrazione universale, un donarsi senza riserve e senza limiti, un accettare con le braccia levate in alto qualsiasi evento, anche inaspettato, voluto o permesso dal Padre, e lei, la Madre, non potrà mutarlo.
Col suo fiat, la Vergine diceva di fatto amen alla notte di Betlemme senza casa, senza culla, senza levatrice, pur non avendo coscienza esplicita di quei dettagli. Diceva amen  alla fuga in Egitto sconosciuto e ostile; amen al silenzio di Dio durante trent’anni; amen all’ostilità dei sinedriti; amen allo scatenarsi delle forze politiche, religiose e militari che trascineranno Gesù nel torrente della crocifissione e della morte. Amen a tutto quanto il Padre avrebbe disposto o permesso e che ella non avrebbe mai tentato di mutare.
Insomma, Maria, col suo « avvenga di me » entra in pieno nella ricca e profonda corrente delle grandi anime che non domandano, discutono o protestano, ma che si abbandonano in silenzio e depongono la loro fiducia nelle mani onnipotenti del loro amato Signore e Padre.

Nel vangelo di Luca la fede adulta di Maria non dubita, non domanda, non esige garanzie. Con l’atteggiamento tipico di « serva del Signore », crede contro ogni ragionevolezza umana, nella più completa oscurità. E « per la sua fede » diviene « la madre del Signore », la « benedetta tra le donne », colei che « tutte le generazioni proclameranno beata ».
Per lei, quel giorno, sulla soglia della casa di Elisabetta, si compì una festa dello spirito. E nel suo momento culminante vennero ripetute in coro, da Maria, da Elisabetta e da Zaccaria, le parole più sublimi del « mistero » e della fede: « Nulla è impossibile a Dio » (Lc 1,37).

Mi ha sempre colpito l’appassionato interrogativo che Paolo VI poneva durante la sua omelia al santuario di Nostra Signora di Bonaria (Cagliari), il 24 aprile 1970.

E a sigillo del suo intervento, Paolo VI dettava questa frase che ha fatto storia.
“Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale e vitale e provvidenziale che unisce la donna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui conduce.” Acta ap. Sedis 62, 1970. Noi oggi se vogliamo essere apostoli non possiamo esserlo se non con lo stile di Maria, la regina degli apostoli.

Maria sa di non essere nemmeno lei, la madre, superiore al Figlio, che è suo Signore e Maestro (cf. Mt 10,24, Lc 6,40) e accetta di passare da dove è passato Lui. 

Non è come Pietro che rifiuta il patire del Cristo e che Gesù ammonisce: “Via da me, non essermi d’inciampo. Se mi vuoi seguire, mettiti dietro di me… e prendi la croce che prendo io” (cf. Mt 16,23-24). Se vuoi essermi discepolo, accetta di esserlo fino in fondo, non a modo tuo, secondo i tuoi progetti e per una tua eventuale “realizzazione”, ma secondo la mia logica, che è la logica della croce (cf. Mt 10,34-39; Lc 14,26-27).
Proprio perché accoglie questa condizione, Maria diventa “figlia del suo Figlio”, pura somiglianza, anzi trasparenza di Lui. E proprio perché rimane “sotto di Lui e con Lui” (LG 56) può salvare “sotto di Lui e con Lui” tutte le generazioni. Diventa così capofila e modello della nube dei discepoli e testimoni di Gesù di Nazaret, di quelli che, come Paolo, decidono di stare con Lui fino alla fine e, in comunione con Lui, assumono con timore e tremore lo scandalo e la stoltezza della croce, senza svuotarne il senso con argomenti persuasivi, senza servirsene a fini culturali o sociali, senza farne un oggetto, un distintivo o una decorazione (cf. 1Col.1,18-2,4).

 

Preghiamo

 

Santa Maria, madre e sorella nostra,

donaci la fede

quella fede che ci fa meditare la Parola,

quella fede che ci fa vivere

come è vissuto il Figlio tuo Gesù.

Fa’ che anche noi diventiamo

accoglienti dello Spirito

così da divenire l’essenza più intima

dell’amore: essere dono!

Aiutaci a sprofondarci nel Figlio tuo,

perché solo allora

possiamo uscire da noi stessi

ed entrare nella comunione

con tutti coloro che ci vivono accanto

ed essere per loro

portatori di gioia e di luce. Amen.